Open Arms, il problema non è la difesa dei confini

È bene affrontare il processo Open Arms di Palermo andando oltre la propaganda ed i luoghi comuni. Un processo penale in cui sono contestate all’on. Salvini due ipotesi di reato: il sequestro di persona per avere privato della libertà i 147 migranti a bordo della nave Open Arms non consentendo il loro sbarco dal 14 al 20 agosto 2019 e il rifiuto di atti di ufficio per non avere esitato positivamente le richieste avanzate dalla stessa nave di darle un porto sicuro.
Tutta la vicenda inizia il 1 agosto 2019, con le prime richieste della nave Open Arms che aveva compiuto una prima attività di salvataggio, e si conclude il 20 agosto grazie al sequestro preventivo della nave disposto dalla Procura di Agrigento con evacuazione di tutte le persone a bordo. I profili giuridici affrontati dalla Procura di Palermo nella sua ipotesi accusatoria, sono molteplici: convenzioni internazionali e norme interne in materia di soccorso in mare e di tutela dei diritti umani, il «divieto di ingresso, transito e sosta nel mare territoriale nazionale» del 1 agosto 2019 a fronte della prima richiesta di assegnazione di un porto sicuro controfirmata da tre ministri (Salvini, Trenta e Toninelli), la sospensiva di tale decreto da parte del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio in data 14 agosto 2019, l’emanazione lo stesso giorno di un nuovo decreto interdittivo ad opera dello stesso Ministro Salvini che gli altri Ministri si rifiutavano di controfirmare ritenendolo illegittimo.
Questioni che erano già state affrontate dal Collegio per i reati ministeriali del Tribunale di Palermo del 30 gennaio 2020 che aveva inviato gli atti al Parlamento e dallo stesso Parlamento che in data 30 luglio 2020 ha deliberato l’autorizzazione a procedere nei confronti dell’allora ex Ministro Salvini escludendo che «l’inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di Governo».
Iniziativa della Procura come atto dovuto all’esito della determinazione del Tribunale per i Ministri prima e dell’autorizzazione a procedere poi ed ipotesi accusatorie estremamente argomentate, ma che non vanno confuse con la sentenza che i giudici dovranno pronunciare una volta esposte le tesi difensive sulla base dei principi del contraddittorio.
Ha impressionato l’entità della sanzione richiesta (6 anni di reclusione) che in realtà deriva dalle alte pene (da 3 a 12 anni) previste per il reato di sequestro di persona aggravato «per essere stato commesso da un pubblico ufficiale, con abuso dei poteri inerenti alle sue funzioni, nonché per essere stato commesso anche in danno di soggetti minori di età».
Ora giustamente la parola passa alla difesa che non potrà spendere le motivazioni politiche del comportamento già escluse dal Parlamento, ma che potrà mettere in dubbio e contestare se il trattenimento sulla nave possa integrare una limitazione della libertà, se il limitato periodo contestato (sei giorni) e le sue modalità sia un tempo apprezzabile sufficiente a delineare una privazione della libertà, se l’assenza dell’indicazione di un porto sicuro possa configurare un rifiuto di atti di ufficio etc.
Argomentazioni da esaminare con la massima attenzione da parte di tutti. Quanto occorre evitare è di buttare questioni estremamente delicate, dietro le quali, va sempre ricordato, vi sono immani sofferenze umane, in polemiche di basso livello. In discussione non vi è la difesa dei confini, né il contrasto alla tratta dei migranti. Nell’occasione le persone tratte in salvo ben potevano essere successivamente respinte o inviate in altri Paesi (e ben 6 Stati avevano già dato la disponibilità ad ospitare i migranti della Open Arms), ma in primo luogo in osservanza delle Convenzioni internazionali e della «legge del mare» dovevano esser salvate. Il problema del processo non è la difesa dei confini, ma atti e comportamenti specifici compiuti da un ministro che occorre accertare se effettivamente commessi e se tali da integrare ipotesi di reato. Il resto è solo polemica politica che oscura la realtà del processo.
Un’ultima amara considerazione: a distanza di anni la politica sull’immigrazione in Italia (e in Europa) è ancora alla ricerca di un bandolo e soprattutto continua a non dare una risposta adeguata alla necessità di canali di immigrazione regolari congrui e facilmente percorribili che assicuri in modo controllato senza più barconi e morti l’arrivo in Italia di persone che cercano da noi una nuova vita senza più guerre e fame. Ricordiamo sempre che siamo noi, con la nostra assenza di risposte che diamo lavoro ai trafficanti di esseri umani e che facilitiamo le migliaia di morti in mare che ogni anno il Mediterraneo conosce.
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