Migranti e Medio Oriente, le prove di forza di Meloni

Dal viaggio in Libano e Giordania all’hub in Albania, la premier italiana sta giocando partite su più fronti
La premier Meloni in Libano - © www.giornaledibrescia.it
La premier Meloni in Libano - © www.giornaledibrescia.it
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Per Giorgia Meloni sono giorni di intensa attività internazionale. La partecipazione al Consiglio Europeo è stata segnata dalla riunione con i partner da lei promossa per discutere di migranti, e il viaggio in Libano e Giordania sta assumendo un significato politico non banale.

Peraltro va ricordato che Meloni è ancora presidente di turno del G7, un ruolo che le ha meritato l’elogio di Joe Biden che ha definito «straordinaria» la sua gestione e ha sottolineato l’importanza «del contributo italiano per la sicurezza transatlantica».

Vale quindi la pena di fare un quadro di questa intensa attività partendo dalle ultime notizie sul viaggio in Medio Oriente.

La prima è la conferma che la missione Unifil (in cui noi abbiamo un ruolo di primo piano) deve rimanere finché è possibile al suo posto nel sud del Libano senza cedere agli ultimatum di Netanyahu («che comporterebbe un enorme perdita di credibilità dell’Onu»), premessa a un contributo alla stabilizzazione dell’area operando per il rispetto della Risoluzione 1701 con il ritiro di Hezbollah oltre il fiume Litani e di Israele dentro la linea dei suoi confini settentrionali: il cessate il fuoco ne sarebbe la conseguenza.

Tentativi, naturalmente, che la premier italiana porta avanti insieme ai ministri Tajani e Crosetto, entrambi attesi nella Regione, non sopravvalutando ovviamente il proprio ruolo ma nemmeno dimenticando che l’Italia in Medio Oriente ha una lunga tradizione di dialogo con tutte le parti di cui proprio i nostri soldati in Libano sono da tanti anni una testimonianza eloquente. Altro elemento importante della missione, la facilitazione di un rientro sicuro e dignitoso in patria dei profughi siriani. Su tutti questi dossier il buon rapporto con il re di Giordania Abdallah II ha il suo peso.

Altro elemento che ha sorpreso molti, ciò che si sta muovendo in Europa sul fronte migranti. Nel corso del Consiglio è stata proprio la delegazione italiana ad organizzare su questo una riunione cui hanno partecipato undici premier e la presidente della Commissione. L’impressione è che il modello «Albania», dopo le parole del premier laburista inglese Starmer, stia facendosi strada anche tra leader socialisti della Ue (Malta, Danimarca) e non solo tra i sovranisti. Von der Leyen si è esposta e anche i francesi tendono l’orecchio. Sta di fatto che adesso spuntano le ipotesi di Uganda e Kosovo come hub per gestire i flussi migratori fuori dai confini europei. Tanti Paesi reclamano un cambio di normativa europea e soluzioni «innovative».

L’impressione è che si stiano chiudendo piano piano le porte, come dimostrano le ultime direttive del cancelliere tedesco, il socialista Scholz: peserà sui governi il risultato delle ultime elezioni europee, ma Meloni - che da quelle elezioni è stata tra le poche ad esser premiata - se ne giova celebrando la crisi di quello che lei definisce «ideologismo staccato dalla realtà».

Se in Europa le cose sembrano cominciare ad andare nella direzione da tempo invocata dal centrodestra, Giorgia Meloni non esita a avvantaggiarsene per ribattere ai giudici che, al contrario, non hanno convalidato il trasferimento dei primi migranti nel centro albanese, dicendo: «Quello che facciamo ora, dal 2026 diventerà diritto europeo».

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