Manovra tra desideri e «vincolo esterno»

In Parlamento inizia il confronto sulla Legge di bilancio
Il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
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La battaglia politica intorno alla prossima Legge di bilancio è, in realtà, una somma di schermaglie fra i partiti (su progetti che spesso sono solo desideri o proposte fatte per guadagnare voti, pur sapendo che non saranno accolte, tanto l’«effetto annuncio» è quello che conta) e il ministro dell’Economia.

I conti dello Stato, in buona sostanza, sono gestiti con una notevole continuità rispetto al passato: i vincoli europei sono stringenti (tanto più per un Paese iperindebitato come il nostro, che riesce ad abbassare il rapporto debito/Pil quasi solo grazie alla rivalutazione Istat dell’andamento degli anni scorsi) e il deficit va ricondotto - insieme al saldo primario - entro limiti più consoni alle nostre possibilità. Al di là, dunque, del fatto che ogni maggioranza di governo usi ingredienti diversi (un condono o uno sgravio fiscale in più e un reddito di cittadinanza in meno o viceversa) per cucinare un piatto simile a quelli degli anni precedenti, la sostanza è quella di rispettare il «vincolo esterno» di debito e deficit.

Cioè, di paletti che avremmo dovuto darci da soli già negli anni Settanta dello scorso secolo, ma che non abbiamo avuto il coraggio di adottare se non firmando accordi in sede europea che ci hanno permesso - fra l’altro - di avere cambi abbastanza stabili e una moneta unica forte (al posto della liretta devastata da un’inflazione molto superiore a quella degli scorsi anni e perennemente svalutata).
C’è poi un altro fattore che spinge persone responsabili come Giorgetti a tenere in ordine il bilancio: la necessità di impedire la speculazione sui nostri titoli pubblici, che devono essere collocati sul mercato ad un prezzo preferibilmente basso, ma che sono soggetti al «voto» degli acquirenti sulla nostra affidabilità.

La prossima Legge di bilancio, dunque, non sarà quella di Draghi, ma segnerà la continuità col passato prossimo e remoto (almeno dell’ultimo trentennio) con un’eccezione: l’«avventura» del governo gialloverde, che nel 2019 si mise in rotta di collisione con l’Europa. Qualche politico parlò, sottovoce, persino di uscita dall’euro, ma le due forze populiste allora in maggioranza (M5s e Lega) che avevano promesso molto in campagna elettorale, finirono poi per accettare il deficit del 2,04% chiesto dall’Europa (facendo però dire ad alcuni telegiornali che l’Italia aveva vinto la partita, perché aveva ottenuto «il due e quattro»... che molti hanno ovviamente inteso come 2,4, cioè una percentuale vicina a quella chiesta dai gialloverdi).

Il primo governo presieduto da Conte (ma in realtà guidato da Di Maio e Salvini) fu abbastanza coerente con le ingenti promesse elettorali - o almeno ci provò, a parole - salvo scontrarsi con la realtà e addivenire a più miti consigli (nonostante i proclami dal balcone di Palazzo Chigi sull’«abolizione della povertà»).

Gli altri governi, invece, hanno messo da parte le promesse elettorali fatte solo per acchiappare voti e hanno sposato un sano realismo: sulle pensioni, sull’abbattimento drastico delle aliquote fiscali, sull’aumento generoso della spesa pubblica, si sceglie ogni anno e con ogni governo un approccio graduale, nei limiti del possibile e del ragionevole. Certo, le promesse roboanti circolano anche in questi giorni; inoltre nulla vieta di redistribuire risorse sottraendole ad alcuni provvedimenti del passato per destinarle a nuove iniziative o a categorie socio-economiche diverse, ma l’importante è che i conti tornino.

È vero: ogni Legge di bilancio ha una sua filosofia - se vogliamo, talvolta, una sua impronta ideologica - ma, alla fine, il prodotto non cambia. Certo, sarebbe bene se non avessimo bisogno del «vincolo esterno» (come lo definì Guido Carli a suo tempo), ma la politica italiana è troppo generosa per essere virtuosa, quindi, alla fine, prevale sempre il buonsenso prima che l’Europa estragga il cartellino giallo.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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