Opinioni

Leggere e amare i libri, ma solo di nascosto

Per i giovanissimi è imbarazzante essere competenti e fare qualcosa che fa ottenere il consenso degli adulti, anche quando si tratta di lettura
Un ragazzo sceglie un libro - Foto Unsplash
Un ragazzo sceglie un libro - Foto Unsplash
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 Andrea ha 11 anni e frequenta il primo anno della secondaria di primo grado (le medie, per chi è nato nel Novecento). La sua classe parteciperà a una «gara di lettura» e quindi i ragazzi devono leggere cinque libri entro la metà di gennaio per poi saper rispondere a domande sui contenuti. Quando il progetto è stato proposto, solo una piccola parte dei venti in classe ha considerato che fosse una bella idea.

Statistiche alla mano, visto la quantità di lettori che si possono contare nella fascia anagrafica dei genitori degli attuali undicenni, è già notevole che tutti sapessero che cos’è un libro (e non me ne vogliano detti genitori, non è una questione personale: sono proprio i dati che urlano la tragicità della situazione). Fatto sta che i docenti iniziano a leggere ad alta voce e poi stimolano e poi pungolano, fino a che Andrea rientra con un libro finito: letto fino all’ultima parola.

In due pomeriggi. Alla domanda «Ma come hai fatto?!» posta da uno dei suoi compagni, Andrea si affretta: «Non potevo giocare, mi hanno messo in castigo». Preciso, sempre per i meno addentro alle abitudini dei ragazzini, giocare è un’attività che si fa con una connessione, dal divano o alla scrivania (ai dati del 2021, un ragazzo su tre dedica a questa attività almeno 3 ore al giorno, sette su dieci lo fanno per più di 8 ore). Tantissimi si dedicano ad altro solo se indotti o costretti da qualche circostanza al di fuori del loro controllo.

Per il primo libro si risolve così. Il fatto è che Andrea finisce pure il secondo, nell’arco di un solo pomeriggio perché era breve e particolarmente appassionante. Non lo consegna subito, aspetta un paio di giorni e quando, ancora una volta, una persona della classe gli chiede come sia riuscito nella straordinaria impresa, spende di nuovo la scusa di essere stato punito.

A questo punto però nascono i primi sospetti: Andrea non è il tipo che combina guai, che cosa potrebbe mai aver fatto per meritarsi una punizione che dura l’interro arco di una settimana scolastica? Gli amici chiedono, indagano, sono curiosi, vogliono sapere, provano a immaginare. Andrea è incapace di fare pasticci gravi e pure di mentire. Per questo, alla fine si arrende: «Non mi hanno messo in castigo. Mi sono piaciuti i libri».

A modo suo, fondato su criteri incomprensibili per un adulto attempato, questo è uno scandalo. Se non lo fosse stato, non ci sarebbe stato tutto quello sforzo per confondere le acque. È imbarazzante essere competenti, è imbarazzante fare qualcosa che fa ottenere il consenso degli adulti. Se non sei simile al gruppo, sei contro il gruppo: ti ammanti di un alone di sospetto, di un’aura negativa, di una puzza di sapere che ti rende estraneo, straniero alla tua stessa aula.

Andrea è solo uno dei (per fortuna) molti, ragazzini che non hanno paura ad essere fuori dal coro senza cercare la copertura di altri gruppi o altre etichette. Lo è almeno per ora. Ha solo 11 anni e ha tutto il tempo per cambiare rotta e diventare uno qualsiasi che si salva dai giudizi degli altri perché rientra nella moda, e non importa dove questa moda porti. Lunga vita ad Andrea. E una tirata di orecchie a chi non gli ha mai messo davanti un libro prima. Per essere colte, le opportunità devono almeno presentarsi.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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