Opinioni

La vecchiaia: l’importanza di aggiungere vita ai giorni

Al termine «vecchio» si preferisce la parola «anziano», più dolce alla pronuncia, meno tagliente e più facile da accettare
La vecchiaia - Foto/Unsplash
La vecchiaia - Foto/Unsplash
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La parola vecchiaia è faticosa da dire, associata al decadimento, alla perdita e alle paure della solitudine e della morte. Crescono allora le difese che fanno preferire termini diversi, più leggeri o altre locuzioni per indicare un periodo che disturba il pensiero e la prospettiva.

Sovente la parola viene rimossa dalla coscienza collettiva, benché il latino «vetus» da cui deriva indichi la grandezza di ciò che è antico, per l’appunto vetusto. E al termine «vecchio» sembra meglio preferire la parola «anziano» più dolce alla pronuncia, meno tagliente e più facile da accettare. Anche «l’età senile» come espressione si è persa in quanto, privata della dimensione romantica e della memoria letteraria, ha lasciato il posto alla locuzione terza, quarta… quinta età, spogliandosi del peso degli anni. O quanto meno sembrano modi di dire per addolcire i cambiamenti e sentire meno sconfortanti i deficit fisici o la riduzione di quella memoria che in questa fase della vita passa dal presente al passato.

L’anzianità più della vecchiaia, invece, sembra non negare il futuro e per certi versi mostrare come l’età libera dalle incombenze quotidiane oggi, complice la tecnologia, ti fa sentire tutto come possibile. Ma, guarda caso, è proprio in questo tempo che si affaccia il mito dell’eterna giovinezza, quello che, secondo Enzo Bianchi, monaco e attento osservatore dell’esistenza, fa sì che «Il restare giovani è diventato il primo compito di chi è entrato nella maturità e ancor più di chi è anziano» (La vita e i giorni. Sulla vecchiaia, Il Mulino). E insiste «Si giunge persino al punto di voler rinnegare, dimenticare la vita passata, per sentirsi giovani». Bisognerebbe invece, non cancellare le rughe perché, diceva Anna Magnani, c’è voluta una vita intera per farle.

Forse nella parola vecchiaia si annida una certa ambiguità del tempo. C’è il «Chronos» che è la conta dei giorni, la cronologia di una vita, ma c’è anche il «Kairos», ovvero il tempo delle opportunità. Quest’ultimo è più vicino alla narrazione di Bianchi e a quella vecchiaia che va preparata e attraversata fino in fondo, perché terra sconosciuta fatta di ombre e insidie, ma «mai separata dalla vita». Poi ce ne sono tante, dice Bianchi, di vecchiaie, e in alcune prevale la paura, il desiderio di fuga e quel dolente sentimento di solitudine e di abbandono. In altre il viaggio, pur se lungo e aspro, è anche «il tempo di avere tempo» da dedicare agli interessi di una vita, alla lettura e alla scrittura, all'ascolto di se stessi e degli altri. Un viaggio che va compiuto fino in fondo perché cammino in un territorio inesplorato dove al vecchio però spetta il compito di piantare alberi per chi verrà dopo. In altre parole per vivere la vecchiaia bisogna voler «aggiungere vita ai giorni e non giorni alla vita».

Allora di questo progetto e della cura della vecchiaia ne parlerà il 4 ottobre alle 18.00 lo stesso Enzo Bianchi, che al Festival della parola ci offrirà le sue riflessioni nel Teatro Corallo di Villanuova sul Clisi con l’introduzione di Stefania Romano Presidente delle Acli bresciane.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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