La Turchia e le ambizioni da potenza regionale

Ankara si pone come perno dei fragili equilibri in Medio Oriente
Il presidente turco Erdogan con i ministri degli Esteri di Russia, Azerbaijan, Iran, Armenia - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Il presidente turco Erdogan con i ministri degli Esteri di Russia, Azerbaijan, Iran, Armenia - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
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«La Turchia sta mettendo in atto, da qualche anno, un approccio proattivo alle relazioni internazionali, in modo da guadagnarsi un ruolo di potenza regionale protettiva e inclusiva sia nel mondo turco sia in quello islamico».

Con queste iniziali parole il ministro degli Esteri Hakan Fidan ha descritto, in un recente intervento, il carattere della politica estera di Ankara. Una frase impegnativa, densa di implicazioni, anche perché accompagnata da una politica della difesa di simile stampo. Insomma, nulla di velleitario. Un soft power diplomatico, accompagnato da un hard power (armamenti) di alto e crescente livello tecnologico.

Il tutto per produrre uno smart power capace di fare della Turchia una potenza regionale, ma anche di proiettarla ancor più su, avvicinandola alle grandi potenze globali, quali Stati Uniti, Russia e Cina. Tanto da permettersi, si tratti di Fidan o del suo presidente, di guardare con una certa sufficienza all’Europa, intesa come Ue, vista come troppo percorsa da vedute diverse, per poter generare quel mix di soft e hard power indispensabile per influire sullo scenario geopolitico.

In ambito Nato, ben conscia della debolezza militare dei soci europei, la Turchia è determinata a ricoprire, anche in vista di un possibile disimpegno americano, un peso via via maggiore. Erdogan non ha perso tempo nel guadagnarsi il sostegno del nuovo segretario generale della Nato, Mark Rutte: «Siamo buoni amici e lavoreremo bene assieme, forti di una conoscenza vecchia di una quindicina di anni. La Nato dovrà prendere sempre più in mano la lotta al terrorismo».

Erdogan, del terrorismo, gli ha presentato la propria visione. Quello vero o presunto, da lui visto come più pericoloso per la Turchia: il Pkk, la sua derivazione siriana Ypg, ma anche quello di Feto, l’organizzazione ritenuta da Ankara come responsabile del tentato golpe del 2016. Erdogan non fa mistero nel ritenere l’Occidente connivente con queste organizzazioni.

L’Europa principalmente con il Pkk, gli Stati Uniti con l’Ypg e Feto. Ambiguo su Hezbollah, Erdogan si pone come fiero sostenitore di Hamas. Al di là del terrorismo nella visione turca, «l’occupazione di Gaza e Cisgiordania, gli attacchi al Libano, la situazione sempre insicura in Siria, la guerra in Ucraina, ma anche la lotta dell’Europa contro l’estremismo di destra in crescita», parole di Fidan, sono sfide cui la Turchia intende trovare una risposta.

In questo elenco manca l’Iran. Non si tratta di una dimenticanza, ovviamente. Così come con la Russia, la posizione di Erdogan è ambivalente. Saranno pure sciiti ma pur sempre sono musulmani; tuttavia, la loro influenza nella regione crescerebbe a mio discapito. Questa l’essenza del pensiero di Erdogan.

Pur velatamente compiacendosi degli attacchi iraniani a Israele, si affretta a porne in evidenza i limiti. Vede sì una maggior efficacia nell’attacco del 2 ottobre rispetto a quello del 13 aprile, ma poi aggiunge come l’Iran sia ancora lontano dal fornire un ombrello di sicurezza a suoi vicini nella regione. Per contro la Turchia è pronta non solo con gli armamenti convenzionali, ma anche a far fronte alle sfide ibride, perché «le guerre non si combattono più con cannoni e fucili, ma piuttosto attraverso minacce informatiche e pandemie. In risposta, la Turchia ha iniziato a preparare iniziative nazionali di software e sicurezza digitale in modo integrato».

In definitiva, il duo Erdogan-Fidan, sta presentando al mondo l’immagine di una Turchia tesa in uno sforzo diplomatico di protezione dell’umma musulmana, la comunità istituita dal Corano, ma poi divisasi subito dopo la morte di Maometto. Lo fa proponendo una politica estera «radicata nella virtù, non nel realismo», parole conclusive di Fidan. A quale virtù alluda non è difficile immaginarlo.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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