Il potere della Mediazione famigliare

L’altra sera ad una cena, tutti incuriositi, si parlava di conflitti, mediazioni familiari, pensar «giraffa», delle sette regole dell’Ascolto Attivo (uno dei prossimi temi della rubrica), finché un medico (che avevo appena scoperto essere da anni in prima linea nelle missioni) mi domanda a bruciapelo: «Chi ve lo fa fare di star lì ad ascoltare gente che litiga e si odia?».
«Forse lo stesso motivo che spinge un medico ad operare in India?». Ho abbozzato, sorniona, non sapendo bene cosa rispondere ad una domanda che non mi ero mai posta, «Ma nel nostro caso salviamo o cerchiamo di salvare vite!», ha replicato. «Eh, in qualche modo, pure noi. Una coppia che si separa, figli fatti a brandelli, fratelli in conflitto sono una polveriera di sofferenza e dolore, di disperazione e violenza che fa star male, imprigiona, genera malattie, rende necessarie terapie psicologiche, farmacologiche, porta a idee suicidarie, fa smettere di credere nel futuro, nella vita, incatena in inutili guerre di posizione, cruente, costose e lunghe.
Se hai un dolore fisico corri dal medico, trovi uno spazio di cura, ma se hai un dolore interiore è più difficile capirne l’origine, aver voglia di lavorarci, trovare ascolto e, soprattutto, uno spazio per un confronto (guidato) con l’altro».
La domanda ha acceso un bel dibattito e ha spalancato la porta ad un mondo, quello delle emozioni e delle relazioni d’aiuto, che vive nell’ombra fra le crepe di muri incrostati dal dolore. Il grado di empatia del mediatore, il tempo lento, lo spazio neutro, l’assenza di giudizio, la riservatezza, la libertà di andarsene quando si vuole, la focalizzazione su obiettivi precisi, sono solo le componenti visibili di un cammino di profonda trasformazione.
Improvvisamente mi sono ricordata che, alla domanda del mio simpatico provocatore, avrebbe dato una perfetta risposta il «Dizionario delle emozioni dei Mediatori Familiari». Una originale raccolta nata, per caso, in pieno lockdown Covid, da un’idea della collega Maria Rosaria Sasso*. Dalla A alla Z, la grazia del nostro operare in forma di approfondite riflessioni.
Ho aperto l’ebook sul cellulare, è uscita la lettera S di Stupore: «lo stupore della Stanza con tutti i suoi Sentiti, i suoi Silenzi, i suoi Sguardi, lo stupore grato di poter essere una piccola Luce che affianca il cammino di chi si affida». Eccola, la risposta: sta in ogni mediazione riuscita, quando il mediatore guarda i suoi mediandi andare verso nuova vita, con la Speranza che le ritrovate capacità personali (sopite ed offuscate solo temporaneamente, per effetto del dolore per la rottura e del lutto separativo) sapranno farsi spazio.
Cosa si può chiedere ad una relazione di aiuto? Tutto, tranne chi ce lo faccia fare. «Ci devo pensare», ha detto infine il medico, con un velo di improvvisa tristezza negli occhi, «dovrei provarci con mio fratello... sono anni che non ci parliamo...». Abbiamo quindi brindato ad una nascente possibilità: perché la si può definire come si vuole, ma la Mediazione Familiare è, in sintesi e semplicemente, una straordinaria possibilità.
*Testo intitolato: «La Mediazione Familiare: una Professione che richiede Arte» Edizioni Ventus.
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato
@News in 5 minuti
A sera il riassunto della giornata: i fatti principali, le novità per restare aggiornati.
