Il nastro di Ingolstad e quei nodi sciolti

«Io amo pensare al miracolo di di Maria come la prima mediazione familiare della storia»
Maria che scioglie i nodi, il dipinto di Johann Georg Melchior Schmidtner
Maria che scioglie i nodi, il dipinto di Johann Georg Melchior Schmidtner
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Quando nel lontano 1615 padre Jakob Rem di Ingolstad, gesuita in odore di santità, vide arrivare in convento il giovane Wolfgang Langenmantel, nobil uomo di Augusta, con l’accorata richiesta di aiutarlo a salvare il suo matrimonio, non potè far altro che accoglierlo ed invitarlo alla preghiera offrendogli conforto spirituale.

Trascorsero insieme tre lunghi pomeriggi. Al quarto ed ultimo appuntamento a Padre Rem venne l’idea di farsi consegnare il nastro che, durante il rito nuziale, veniva posto sulle mani degli sposi a simboleggiare l’indissolubilità dello stesso (il cosiddetto «handfastin»). Il nastro dei Langenmantel, dopo appena tre anni, era un groviglio di nodi: i nodi rabbiosi che la moglie, Sophia, creava dopo ogni litigio.

Il gesuita lo prese, lo sollevò davanti all’immagine della Beata Vergine affermando solennemente: «Con questo atto religioso innalzo il vincolo del matrimonio, sciolgo tutti i nodi e lo appiano». Era il 28 di settembre. Quando riportò in basso le braccia il miracolo era avvenuto. I nodi si erano sciolti. Il nastro riluceva nella sua forma originaria suggerendo agli sposi un nuovo inizio.

Non sappiamo come andò a finire fra i due ma sappiamo che questo miracolo mariano, rappresentato nel famoso dipinto di Schmidtner, secoli dopo colpì un giovane gesuita argentino, di nome Jorge Mario Bergoglio (Papa Francesco), tanto da indurlo a far nascere, nel suo paese d’origine, una fortissima devozione.

Perché vi racconto del miracolo di Maria che scioglie i nodi? Perché nonostante la mediazione familiare sia nata negli Anni ’70 dall’idea, geniale, dell’avvocato e terapeuta americano, James Coogler (che, devastato dal suo divorzio ai coltelli, mutò completamente l’approccio alla gestione dei conflitti familiari portandoli fuori dai Tribunali per favorire il sorgere di una «scintilla empatica» fra i litiganti), io amo pensare al miracolo di Ingolstad come la prima mediazione familiare della storia.

Nonostante alcune differenze sostanziali, dovute alle condizioni culturali dell’epoca (l’assenza della moglie che viene citata solo come annodatrice rabbiosa; la necessità di salvare ad ogni costo il matrimonio, almeno nelle sue apparenze mentre la mediazione familiare odierna non mira alla riconciliazione bensì alla ricerca di soluzioni condivise in vista della prosecuzione, consapevole, della permanente relazione genitoriale), la vicenda contiene tutti gli ingredienti fondamentali del percorso: il legame matrimoniale (il nastro) annodato dai conflitti e dai litigi; la ricerca di aiuto rivolta ad un terzo neutrale (Padre Rem), che accoglie ed offre conforto in uno spazio dedicato e riservato, tramite incontri diluiti e ravvicinati per la ricerca di soluzioni possibili.

Infine il miracolo, la trasformazione in vista di un nuovo inizio, con quel pizzico di magia che vediamo spesso manifestarsi nella Stanza per il tramite dell’arte mediatoria. «La mediazione è «un rito di trasformazione». «Il mediatore è un catalizzatore, un agente di trasformazione, al cospetto dell’Assoluto» ci rammenta J. Morineau.

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