Il Giubileo 2025 e la speranza nel mondo globalizzato

L’attuale disinteresse verso il cristianesimo ha radici molteplici, alcune interne alla storia della Chiesa, altre profondamente estranee e distanti. Per alcuni questo significa il trionfo della società laica, stratificata e complessa nei confronti di una società più elementare, determinata dalla religione. Per altri diventa motivo per una nostalgia per la civiltà cristiana e per una Chiesa potente, influente e forte.
Più che uno schieramento fra coloro che affermano il tramonto del cristianesimo oppure fra coloro che ne sognano una rinascita, può essere preziosa la considerazione che il Giubileo del 2025 potrà costituire una opportunità irripetibile e formidabile per ripensare la presenza cristiana nel mondo sempre più globalizzato, con particolare riferimento alla Chiesa cattolica.
Di questo parere si trovano noti uomini di Chiesa, dal Papa ai cardinali Ravasi e Mendoza, e uomini di pensiero di diverse discipline che non esitano a ritenere un Giubileo significativo per chi crede e chi non crede. Può essere una sorta di «cortile dei gentili» nel tempio di Gerusalemme dove era possibile che il pio osservante ebreo incontrasse lo scettico immorale pagano. Nelle singole Chiese locali fervono i preparativi. E anche la Diocesi di Brescia ha già annunciato le chiese giubilari, i pellegrinaggi e altre possibili iniziative.
Le ragioni di questa ottimistica visione sono tantissime. A cerchi concentrici potrebbero essere riassunte in tre osservazioni. La prima, generica, forse un poco debole e per taluni risibile, consiste nel fatto che un Anno santo diventa una occasione per “abbellire” quanto è obsoleto o per creare nuove strutture di culto o assistenza. Dicono che Roma, la capitale e il centro della cattolicità, sia un diffuso cantiere per rendere la città più accogliente, con una viabilità più razionale e snella e luoghi di servizio più appropriati alle classi meno abbienti.
Il Giubileo, inoltre, non ha solo il suo riferimento nella «città eterna» ma in tutte le periferie del mondo, presupposto che ovunque possano essere in atto cantieri per migliorie e novità che rimarranno anche dopo il 2025.
La seconda ci riporta alle radici bibliche del Giubileo, istituzione cara ad Israele, ripresa nel 1.300 da Bonifacio VIII. L’anno giubilare, ogni cinquant’anni, riproponeva temi ineludibili per tutti: quali quelli teologici della conversione e del perdono, ma anche quelli antropologici quali la riconciliazione, la giustizia sociale, l’ attenzione ai poveri e ai sofferenti. E oggi chiameremmo «ecologici» altri temi del Giubileo biblico quali il rispetto della terra e l’oculatezza nelle modalità di lavorarla.
Un Anno Santo per sua natura produce «cultura» umanistica circa la quale nessuno può lavarsene comodamente le mani. E dire cultura umanistica vuol dire anche riscoperta della bellezza, quella esistenziale e quella prodotta dalle mani dell’uomo. Non per nulla in maggio e giugno, dopo la pubblicazione della Bolla di indizione del Giubileo «Spes non confundit», a Roma nella chiesa di San Marcello al Corso chiunque poteva ammirare l’antico crocifisso caro ai romani e il moderno crocifisso di Salvator Dalì. Il Cristianesimo continua a produrre bellezza, un linguaggio che parla a tutti.
Infine il tema del Giubileo del 2025 suona particolarmente significativo anche fuori delle chiese: «Pellegrini di speranza». Per camminare sui sentieri della vita in questo nostro tempo, la speranza è irrinunciabile e può generare un reale rinnovamento. Già alla fine degli anni Ottanta, l’allora Patriarca di Antiochia Ignazio IV Hazim scriveva: «Si ha talora la percezione che l’umanità oggi sia posta dinanzi a una scelta decisiva: o il suicidio nucleare, ecologico, la disintegrazione delle anime, dei corpi, della società, le mostruosità genetiche, oppure il superamento spirituale».
E specificava che questo superamento spirituale è un compito dei cristiani «con i fedeli di altre religioni quando sanno vincere la tentazione dell’ideologia». Riuscirà il Giubileo a tener viva la speranza? Ce lo auguriamo con convinzione e fiducia.
Mons. Gabriele Filippini - Canonico del Duomo di Brescia
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