Opinioni

Harris vince in tv, ma la strada è lunga

Che sia stata Kamala Harris a uscire vincitrice dal dibattito televisivo di ieri notte è opinione condivisa da quasi tutti i commentatori e sostanzialmente confermata dai primi sondaggi sulle reazioni degli elettori
Il dibattito televisivo Trump-Harris - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Il dibattito televisivo Trump-Harris - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
AA

Che sia stata Kamala Harris a uscire vincitrice dal dibattito televisivo di ieri notte è opinione condivisa da quasi tutti i commentatori e sostanzialmente confermata dai primi sondaggi sulle reazioni degli elettori. Meno certo è che questa «vittoria» possa avere un impatto significativo sulle scelte ultime di voto.

In un contesto iper-polarizzato, a bassissima mobilità di voti e opinioni, i dibattiti per quanto importanti non sono più decisivi come lo furono talora in passato. Era però Harris a trovarsi in una posizione più vulnerabile prima del dibattito. Doveva cercare di definirsi e rappresentarsi per evitare che i termini di questa definizione fossero delineati dal suo avversario. E doveva dimostrare preparazione, competenza e soprattutto «presidenzialità». Vi è riuscita solo in parte, con un inizio balbettante su temi – quelli dell’economia – che non padroneggia benissimo.

E vi è riuscita soprattutto grazie al confronto, per certi aspetti impietoso, con il suo avversario. Donald Trump, a volte lo dimentichiamo, non è particolarmente abile e incisivo in questi dibattiti. Non ama prepararsi; sopravvaluta l’efficacia di rispondere in modo improvvisato anche alle domande più scontate che gli vengono poste; non riesce a rimanere focalizzato per più di pochi secondi su ciò di cui si discute. La cattiva apertura di Harris gli aveva offerto l’occasione per concentrarsi sull’economia, ma ha virato subito su un altro tema a lui favorevole – immigrazione e criminalità – che ha però costantemente invocato durante la serata, abusandone e risultando prolisso e ripetitivo. Nel farlo, e come spesso gli capita, si è fatto sempre più estremo se non addirittura caricaturale, con scivoloni diventati già virali sui social media.

Ha ripreso la bufala degli immigrati haitiani che in una cittadina dell’Ohio farebbero strage di cani e gatti per poi mangiarseli (l’immediato fact-checking dell’ABC lo ha smentito e la sua risposta – «l’ho sentito in televisione» – è stata a modo suo memorabile). Ha sostenuto che in diversi Stati democratici sono autorizzati non solo gli aborti fino al termine della gravidanza, ma addirittura le esecuzioni di neonati. Ha accusato Harris di essere una «marxista» intenta a distruggere il paese. E tanto altro ancora.

Harris è stata abile nello scoprire i nervi dell’ex Presidente e nel farlo ripetutamente deragliare. Era questo uno dei suoi tre obiettivi: esporre il radicalismo e l’incapacità di controllarsi di Trump, sapendo che essi – e la preoccupazione che generano – costituiscono un fattore mobilitante per l’elettorato democratico. Il secondo obiettivo, si diceva, era quello di mostrarsi «presidenziale», offrendo un messaggio moderato, inclusivo e anche ottimistico in contrasto con quello distopico e apocalittico di Trump.

Obiettivo in parte ottenuto, questo, nonostante una certa evasiva vaghezza quando dagli slogan si passava ai contenuti. Il terzo obiettivo era usare il dibattito per parlare a segmenti elettorali cruciali per le sue chance di successo, donne e minoranze su tutti. Su questo, Harris ha avuto probabilmente i due migliori momenti della serata.

Nel passaggio sui diritti delle donne ha parlato con passione ed empatia, offrendo esempi concreti di donne vittime delle politiche draconiane introdotte in alcuni stati dopo la fine della garanzia federale alla possibilità di abortire. Sulla razza, ha enfatizzato gli effetti divisivi della retorica di Trump e menzionato esempi lontani e vicini del suo razzismo: il rifiuto negli anni Settanta di affittare sue proprietà a famiglie nere; la sua campagna per la pena di morte nei confronti dei cinque afroamericani e ispanici ingiustamente condannati per la violenta aggressione di una donna a New York nel 1989; il suo ruolo nella brutta controversia sul certificato di nascita di Obama, fondata sulla tesi che non fosse nato negli Usa e non potesse quindi essere Presidente. Quasi certamente non vi sarà un secondo dibattito, che per ragioni diverse forse entrambi vogliono ora evitare. La partita rimane del tutto aperta. Ma di certo è stato Donald Trump a uscire peggio dal confronto di ieri sera.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato

Icona Newsletter

@News in 5 minuti

A sera il riassunto della giornata: i fatti principali, le novità per restare aggiornati.