Disgelo tra Italia e Francia per un cammino comune

Giorgia Meloni e Emmanuel Macron si sono incontrati ieri a Palazzo Chigi per discutere su tematiche legate all’Ue
Emmanuel Macron e Giorgia Meloni a Palazzo Chigi - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Emmanuel Macron e Giorgia Meloni a Palazzo Chigi - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
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Di per sé che Giorgia Meloni e Emmanuel Macron si incontrino in un bilaterale che segue tante acide polemiche tra Roma e Parigi, è già una buona notizia. Non a caso nelle redazioni soffia la voce secondo cui ci sarebbero i buoni uffici di Sergio Mattarella nell’agevolare l’incontro, di per sé chiesto ufficialmente dall’Eliseo. Non è forse proprio il Capo dello Stato il vero ispiratore di quel «Trattato del Quirinale» tra Italia e Francia siglato proprio sul Colle con la firma del presidente francese e di Mario Draghi? Quel Trattato, salutato all’epoca come esempio di una «collaborazione rafforzata e strategica» tra le due Nazioni cugine (e rivali), sembra passato in ombra da quando a palazzo Chigi il timone è in mano a Giorgia Meloni.

L’ultima polemica la ricorderanno tutti: l’esclusione dell’Italia dalla «foto di Tirana» quando i principali leader europei si incontrarono con Zelensky e si confrontarono al telefono con Trump. A Roma la presero malissimo e produssero una spiegazione che Macron non si peritò dallo smentire con un comunicato ufficiale. Altri tempi? Può darsi, in ogni caso questo incontro romano – senza giornalisti, con sorrisi a favore di telecamere e senza altre tappe istituzionali per Macron – potrebbe essere utile per chiarirsi. Insomma, uno di quei colloqui che in diplomazia si definiscono «franchi e cordiali»: vuol dire non mandarsele a dire ma con l’intenzione di non rompere, anzi. Insomma: «disgelo».

Come può d’altra parte dimenticare una vicinanza così stretta, una integrazione economica stringente tra due Paesi fondatori dell’Unione e accomunati da tanti problemi comuni? Per esempio c’è per entrambi la difficile situazione dei conti pubblici, da quando quelli francesi hanno cominciato ad assomigliare assai più a quelli italiani che alle sobrie tabelle dei bilanci olandesi. La prima risultanza di questi colloqui (lunghi, almeno tre ore più la cena a palazzo Chigi, senza spostamenti turistici a Villa Madama) è che sicuramente verrà riaffermata la «pari dignità» tra Italia e Francia nel trattare la strategia pro-Ucraina senza fughe in avanti degli orgogliosi francesi; e la consonanza nei rapporti con Trump sulla gigantesca grana dei dazi.

È chiaro che Meloni non rinuncerà mai alla propria legittima ambizione ad essere colei che parla sia con Trump che con l’Europa (ambizione ora un po’ ridimensionata) ed è evidente che i francesi non perderanno mai la nostalgia per la perduta grandeur. Si deve trovare un compromesso, un modo per camminare insieme senza per forza strattonarsi. Esempio? Come trovare i soldi per finanziare le esigenze strategiche dell’Europa in questo devastato quadro geopolitico che non può più escludere il detto romano del «si vis pacem para bellum» (vedi gli stanziamenti di sir Starmer e del cancelliere Merz).

Certo temi su cui discutere sono tanti: basti pensare alla Libia, dove storicamente Italia e Francia si disputano le estrazioni di petrolio, e che oggi rappresenta il cancello che si apre per far sciamare nel mediterraneo folle di disperati a seconda degli interessi delle varie tribù e dei loro protettori turchi e russi. E poi il futuro della politica green: l’automotive è in crisi in Italia, in Francia e in Germania. Come non correre insieme ai ripari?

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