Così la riforma Calderoli mette a rischio la competitività

Emilio Del Bono *
Il dibattito: perché il Pd del Nord propone di ripensare l’Autonomia
L'aula del Senato - © www.giornaledibrescia.it
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Tra pochi mesi la Cassazione si pronuncerà sull’ammissibilità del referendum abrogativo della legge Calderoli e nel caso maturi un orientamento favorevole, i cittadini si troveranno a decidere sulla sua cancellazione.

Una materia certamente ostica, non semplice, quella del trasferimento delle competenze in materia di Autonomia differenziata e tuttavia decisiva per il futuro del Paese, per la sua tenuta, la sua competitività e la sua coesione sociale. Per questo, in questi mesi la legge Calderoli ha prodotto reazioni e giudizi assai critici da ambienti e cattedre assai diverse, come Banca d’Italia, la Conferenza Episcopale italiana, la stessa Commissione Europea oltre che dalle minoranze parlamentari.

Ebbene il tema è assai complesso e mal si presta ad essere liquidato con uno strumento assai secco come un referendum abrogativo della legge che, purtuttavia, è divenuto l’unico mezzo possibile per fermare una macchina che purtroppo è partita senza le adeguate riflessioni e condizioni.

Il confronto che si è innescato appare confuso e rischia di gettare il bambino (un sano processo di regolazione delle Autonomie nel nostro Paese) con l’acqua sporca (la legge Calderoli). La legge Calderoli, infatti, ha disciplinato una procedura di negoziazione delle 23 materie, oggi concorrenti o esclusive, trasferibili alle Regioni attraverso un modello di regolazione farraginoso, lacunoso, contraddittorio.

La riforma della Costituzione del 2001, nata in un clima nazionale (la spinta secessionista) e in un contesto internazionale oggettivamente diverso, non ha infatti mai ipotizzato di innescare il trasferimento di intere materie, ben 23, dallo Stato alle Regioni ma semmai di rendere possibile la negoziazione tra lo Stato e le Regioni, cito testualmente l’art. 116 della Costituzione, di «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie» oggetto della possibile Autonomia differenziata, non quindi le materie stesse.

Ma pensiamo davvero che nell’epoca della competizione mondiale e delle sfide che abbiamo davanti, materie come l’istruzione, la ricerca scientifica, la produzione e il commercio della energia, il commercio con l’estero, i rapporti con la Unione Europea, le grandi reti di trasporto aereoportuali e navali possano essere frammentate in 21 legislazioni e competenze diverse? In questo caso l’Autonomia danneggerebbe proprio il nord che si troverebbe a vedere regolata e difesa al ribasso in sede internazionale la sua forza competitiva.

Sulle materie dove è necessario poi definire i livelli essenziali delle prestazioni (ovvero 14 su 23) si è creato, addirittura, un percorso convulso e privo di certezze temporali e pratiche.

La Legge Calderoli proprio sul versante delle 14 materie Lep (livelli essenziali delle prestazioni) appare infatti una provocazione, sotto il profilo della esigenza di copertura finanziaria. Si afferma infatti nella legge che «si può procedere al trasferimento delle funzioni solo successivamente all’entrata in vigore dei provvedimenti legislativi di stanziamento delle risorse finanziarie volte ad assicurare i medesimi livelli essenziali delle prestazioni sull’intero territorio nazionale», prevedendo quindi un appostamento di risorse di cui non vi è alcuna traccia nella legge.

È evidente che senza risorse finanziarie molto consistenti e senza Fondo perequativo (previsto dalla Costituzione ma sparito nel testo Calderoli), non si potrà fare nessuna autonomia differenziata tale da garantire le medesime prestazioni al sud come al nord secondo i criteri dei fabbisogni standard non di quelli storici, ipotesi questa ultima vietata dalla Costituzione in caso di trasferimento integrale di materie a singole Regioni, quali la Sanità o l’Istruzione.

Va peraltro aggiunto che la Costituzione per rendere possibile l’Autonomia differenziata insiste su altri 2 fondamentali tasselli: il Federalismo fiscale e la Riforma del Testo Unico degli Enti locali.

Manca una matura legge regolatoria del Federalismo fiscale ovvero manca la certezza che per ogni competenza o funzione trasferita vi sia anche l’autonomia impositiva necessaria per responsabilizzare la Regione ad adottare deliberazioni rispondendone anche sotto il profilo finanziario e di bilancio. Oggi invece le principali materie trasferibili rimarrebbero finanziate dallo Stato centrale che trasferirebbe, tramite la Finanza derivata, le risorse necessarie. Basti pensare che attualmente oltre il 70% della spesa sanitaria è coperta dall’Iva, le cui aliquote e la cui destinazione del gettito sono e rimarrebbero in capo allo Stato centrale. Tema questo, del governo della finanza pubblica e della impossibilità di una piena autonomia finanziaria connessa alle materie trasferite, già sollevato da Banca d’Italia e dalla stessa Commissione Europea.

In secondo luogo manca il grande tema della Riforma del Testo unico delle Autonomie locali (Comuni, Province, Comunità montane, città metropolitane), questo davvero necessario se non vogliamo sostituire al centralismo statale un costoso e inefficiente centralismo regionale.

Il Titolo V della Costituzione chiarisce, infatti, in modo indiscutibile, all’art. 118, che le funzioni amministrative sono attribuite in modo ordinario e fisiologico ai Comuni e con altrettanta chiarezza si afferma che “i comuni, le province e le città metropolitane sono titolari delle funzioni amministrative conferite con legge regionale secondo le rispettive competenze”. Eppure, quante funzioni di natura amministrativa le Regioni si sono tenute per sé per ragioni non sempre di natura funzionale, quanto semmai per ragioni di consenso e di potere?

Appare quindi opportuno azzerare il percorso innescato dalla Calderoli e tornare ad un confronto condiviso dentro e fuori il Parlamento per una ponderata regolazione delle modalità di trasferimento di competenze e materie e per la promulgazione di una seria legislazione in materia di federalismo fiscale e di una non più rinviabile riforma delle Autonomie locali.

Il Partito Democratico del nord, nello specifico della Lombardia, del Veneto e del Piemonte, con il suo seminario bresciano di sabato, intende offrire quindi una sua proposta, non accontentandosi di sostenere l’abrogazione della legge Calderoli.

Il nostro Paese non può essere sottoposto ad un processo traumatico destinato a ripercuotersi anche sui diritti e l’eguaglianza dei cittadini, ha bisogno di un confronto dialogante e costruttivo. Con le nostre proposte proviamo a riaprirlo.

* Vicepresidente del Consiglio Regione Lombardia, Presidente dell’Assemblea regionale Pd Lombardia

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