Avere tre età e non contare più gli anni: una vita senza numeri

Alba è la donna dalle tre età. Quella che ha all’anagrafe italiana, quella che sua nonna le ricorda e quella del suo ritmo di vita. È nata in uno Stato lontano, in un posto remoto, dove l’anagrafe aveva una gestione meno puntuale di quella cui siamo abituati. Non era solo un posto remoto, era un posto difficile, senza pace e senza tregua sociale, così – quando era molto piccola – Alba si è trovata strappata dalla propria terra e caricata su un aereo che con un volo speciale l’ha portata in Italia, senza documenti personali validi.
Lei è troppo piccola per ricordare i dettagli, ma da quel che racconta, si è trovata in una comunità di accoglienza che l’ha presa in carico e ha cercato di capire quanti anni potesse avere. I bambini non crescono tutti allo steso ritmo e qualcuno è più alto, qualcuno è più basso, alcuni parlano prima e altri dopo e questi e altri fattori non dipendono solo dal trascorrere del tempo, ma dallo stile di vita, dalla cultura familiare, dagli stimoli offerti o sottratti. Con tutto l’impegno degli educatori e dell’ufficio dell’anagrafe, con una burrascosa traversata delle necessità burocratiche e dei bisogni pratici, le attribuiscono un’età che sembra plausibile.
Il suo percorso scolastico viene rallentato da vicissitudini varie e prevedibili quando parti con un netto svantaggio linguistico e sociale. Alba arriva quindi al diploma con due anni di ritardo rispetto al percorso lineare. Da come racconta, in ogni classe era la più alta e, dalla preadolescenza, è sempre sembrata la ragazza più cresciuta tra tutte.
Raggiunta l’età adulta, Alba in una maniera fortunosa recupera una parte della propria identità e capisce che l’età che le avevano attribuito era in realtà di tre di anni inferiore a quella reale, ma non è più il caso di fare rettifiche. Poco dopo aver trovato lavoro, Alba inizia una relazione stabile e nasce sua figlia. È molto puntuale nel festeggiare i compleanni della piccola: nei suoi parametri, avere una data da festeggiare non è scontato, anzi è in qualche maniera un lusso.
Alba racconta con reticenza la propria storia, ma diventa generosa di parole sulla questione dell’età. Quando ha scoperto di aver vissuto sempre con tre anni di meno, ha sentito come se due metà si ricucissero: non era il suo corpo a correre in avanti, ma la vita che faceva il suo corso. Quanto ai due anni perduti a scuola, che sarebbero poi cinque, dichiara che hanno avuto un peso maggiore. Voleva studiare, ma ci sono situazioni in cui la volontà non basta: per quanto se ne possa favoleggiare, la volontà può arrendersi a certe costanti prevaricazioni della vita.
In conclusione, però, l’atteggiamento di Alba è proattivo: sostiene che, da adulta, gli anni hanno un’incidenza differente nella vita e non sarebbe male smettere di contarli: pensare di essere più giovani incoraggia perché regala un’ipotesi di futuro più lunga, sentirsi più grandi può regalare un senso di tregua, pensarsi senza età forse fa sentire più nitida la gratuità della vita.
Potremmo prendere spunto da Alba e smettere di contare gli anni, festeggiare i compleanni senza candeline e non dare i numeri al tempo per attribuirgli più sostanza. Tentare, in fondo, non nuoce e ci sarà sempre la carta d’identità come corda di sicurezza, a dare coraggio o a frenare eccessivi entusiasmi.
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