Ancora molte incognite sul summit Trump-Putin

Il tanto atteso summit tra Donald Trump e Vladimir Putin infine si terrà. L’annuncio costituisce una vittoria simbolica per entrambi. Trump sostanzia finalmente la sua promessa di porre termine al conflitto ucraino. Può rivendicare di avere portato il leader russo al tavolo negoziale, con un mix di incentivi e concessioni (iniziali) e di minacce e pressioni (successive). Putin vede soddisfatta la sua richiesta di riconoscimento di status per la Russia, capace di dialogare alla pari con (e solo con) il gigante statunitense.
Sia l’uno che l’altro affermano la loro visione neo-imperiale delle relazioni internazionali in virtù della quale sono le grandi potenze che dialogano, negoziano e decidono, se necessario sulla testa (e sui destini) degli altri. Zelensky prova disperatamente ad accodarsi, chiede che questo summit bilaterale (e bipolare) sia seguito da un altro a tre. È molto difficile però che Putin lo accetti o che Trump lo accontenti. Se queste sono le premesse, tre sono le variabili cruciali che determineranno l’esito e le conseguenze del summit: che trasformeranno questa vittoria simbolica in un reale successo diplomatico.
La prima è rappresentata dalla disponibilità russa ad accettare i termini della pace prospettata da Washington, ponendo termine a una protratta guerra d’attrito la cui prosecuzione, sulla carta, continua ad avvantaggiare la Russia. I contorni generali di quella pace sono in una certa misura definiti: concessioni territoriali a Mosca; abbandono di qualsiasi ipotesi d’ingresso dell’Ucraina nella Nato (e quindi di una garanzia securitaria atlantica a Kiev); graduale rimozione del sistema di sanzioni adottate dagli Usa e dall’Occidente dopo l’invasione russa del febbraio 2022. Assai probabile se non certo è che ad essi si debbano aggiungere altri tasselli, non necessariamente legati al dossier ucraino, a partire dai rapporti di Mosca con l’Iran e soprattutto la Cina.
Agreement reached for Trump to meet Putin "in the coming days," top Kremlin aide says https://t.co/pOGvjx8bfG
— CNN (@CNN) August 7, 2025
È questa la seconda, fondamentale variabile su cui dobbiamo soffermarci. Per Trump la pace in Ucraina non può né deve essere fine a sé stessa. Serve per cooptare la Russia in un nuovo ordine internazionale, nel quale la questione centrale è la competizione con la Cina. E quindi, oltre a termini di pace sostanzialmente favorevoli a Mosca, gli Stati Uniti devono mettere sul tavolo altri incentivi, a partire dal reinserimento delle risorse energetiche russe nelle dinamiche del mercato globale. Un processo, questo, non semplice, anche perché di certo condizionato dal peso che sulla politica estera di Trump esercitano interessi personali e privatistici, a partire da quelli suoi e della sua famiglia.
La terza e ultima variabile ci riporta in Ucraina. Dentro una pace che penalizza Kiev è inimmaginabile che si realizzi la capitolazione totale voluta da Putin, con un’Ucraina non solo moncata di parti di territorio ma riportata entro una sfera d’influenza russa, a sovranità limitata e con un governo non ostile a Mosca. Anche perché un simile esito acuirebbe la contrapposizione tra Russia ed Europa, generando un’instabilità regionale che Washington di certo non vuole.

Per evitarlo, però, servirà una garanzia statunitense all’Ucraina: un impegno di qualche tipo a puntellarla e renderla effettiva questa sovranità. Come richiedono peraltro molti dentro il partito repubblicano, a partire da influenti senatori e membri dell’amministrazione; e come sembrerebbe conseguire all’accordo, formalmente capestro, siglato tra Washington e Kiev per lo sfruttamento delle risorse minerarie di quest’ultima. Tanti sono insomma i tasselli che si debbono ancora incastrare; e tante le incognite e i dubbi su quello che potrà eventualmente sortire questo vertice.
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato
@News in 5 minuti
A sera il riassunto della giornata: i fatti principali, le novità per restare aggiornati.
