Obesi digitali

Non lo so fare, chiedo a Google

L’interferenza cognitiva fa sì che di fronte a un problema non si ragioni ma si cerchi la risposta facile, veloce, sicura
Ricerca su Google (simbolica) - © www.giornaledibrescia.it
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Diciamoci la verità: quando ci troviamo di fronte a qualcosa che non sappiamo fare dove vola il nostro pensiero?

Faccio un esempio, per chiarirci: siamo alle prese con un piccolo lavoro domestico. Nulla di che, non parlo di alta ingegneria. Che so: sistemare un tavolo che balla. O forse, cambiando campo, semplicemente cucinare un qualcosa di decente con quel che abbiamo in casa. Insomma: c’è un problema, serve una soluzione.

E torno alla domanda: dove vola il nostro pensiero? Immagino la vostra risposta (che poi è anche la mia): a Google, per ora, perché a breve diremo a ChatGpt.

Si chiama interferenza cognitiva. In pratica, e questo è quel che ci deve far riflettere, di fronte ad un problema che chiede una soluzione abbiamo smesso di ragionare, di esercitare l’umanissima dote della creatività, e andiamo subito a cercare la risposta facile, veloce, sicura.

Certo, come qualcuno mi ha fatto notare abbiamo sempre fatto così: già all’epoca dei nostri nonni, e sicuramente anche prima, se non si sapeva fare qualcosa si chiedeva a chi già lo sapeva fare. Vero, ma vero anche che questo «qualcuno imparato» non era sempre lì a disposizione, come invece oggi accade con il tuttologo digitale, e non potendo attingere alla fonte del suo sapere ci toccava accendere il nostro cervello. E inventarci qualcosa. Magari qualcosa di non perfetto, qualcosa di non del tutto efficiente, sicuramente faticoso, ma pur sempre un prodotto della nostra testa.

Questo è il punto: usare la testa facendo fatica ed accettando il rischio di fallire, o ricorrere a soluzioni facili, preconfezionate e di certo, o comunque probabilmente, migliori di quelle che noi saremmo in grado di partorire?

Cosa preferiamo: la velocità e la precisione della performance, o lo sviluppo e la forma del nostro cervello?

Questo è il punto. Lo dico e lo ripeterò alla noia: si dice che per il cervello valga la regola che vale per i muscoli, ossia «to use or to loose», «o lo usi o lo perdi». Perché dietro alla serenità della soluzione su Google (senza far pubblicità a nessuno) si nasconde un piccolo tranello: la scelta di ridurre il cervello a puro consumatore, e non farlo produrre.

Questo è uno dei pericoli maggiori del nostro tempo. Con una precisazione: il cervello è plastico, prende la forma che gli diamo con i nostri comportamenti, che poi diventano abitudini. Come quella di rinunciare alla nostra inventiva.

È bene quindi che noi tutti impariamo a capire quando sia il caso di provare a spremere le meningi, e quando invece sia giusto copiare da chi ne sa.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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