Vittime innocenti della rivoluzione d’ottobre
In queste settimane ricorreva il centenario della rivoluzione d’ottobre e la presa del potere comunista, cioè la dittatura del proletariato a guida dell’ideologo Lenin. I giornali hanno scritto e scrivono molto su questo periodo importante, che ha coinvolto la Russia e molti Paesi dell’Est e l’Occidente. Io la disturbo per evidenziare una particolare testimonianza raccontatami 8 anni fa in Ucraina, durante la permanenza per lavoro, e che può secondo me facilitare la comprensione della vita di quel tempo nelle zone a trasformazione comunista. Mi trovavo a Kremincuc un giorno al mercato settimanale, con dei gesti e parlando a bassa voce, feci capire all’ambulante di volere la bevanda che teneva nelle botti di legno su carrello traballante, probabilmente a causa il mio impaccio e da come ero vestito destai attenzione, e una signora che chiamerò Alina mi si avvicinò, parlandomi in inglese, io risposi in italiano, e lei: «Tu italiano? Io capire...» rispose, e con comprensibile difficoltà riuscimmo a dialogare. Non so per quale ragione, ma ad certo punto, quasi per una forma liberatoria, si mise a raccontarmi la sua vita sventurata, di cui ne rimasi impressionato, e che io sinteticamente ora provo a raccontare. Il padre di Alina fu ritenuto colpevole, secondo i bolscevichi (cioè i cittadini che sapevano leggere e scrivere e che hanno diretto la rivoluzione d’ottobre) di essere diventato un Kulaki cioè un contadino proprietario di terre che lavorava. Non si trattava però di una colpa. Era stata la riforma agraria fatta dal ministro dell’ultimo zar Nicola II a dare la possibilità agli ignoranti servi della gleba (barak) che non sapevano leggere e fare bene di conto, di acquisire la terra tramite prestiti che gli ebrei davano. I barak così lavoravano il doppio per pagare i debiti. Il padre venne arrestato assieme a molti altri, perché si era opposto di cedere le sue terre allo stato. Fu internato in uno dei tanti gulag, che erano campi di rieducazione, ma in realtà fabbriche della morte, costruite prima da Lenin, poi da Stalin. Al padre gli furono confiscate le terre per essere collettivizzate. Dopo alcuni anni il padre ritornò, e dovette assoggettarsi al modo del vivere comunista. Con la guerra arrivarono a Kremincuc i tedeschi i quali annientarono tutti gli ebrei e rasero al suolo tutte le loro case. Il padre scappò, la madre morì. Alina che era piccola fu messa in un collegio per orfani sino all’eta di 18 anni. Indi era obbligo staccarsi dal collegio e cavarsela con i propri mezzi. L’unico modo per poter sopravvivere era quello di sposarsi. Essendo una bella ragazza non ebbe difficoltà. Si sposò con un ingegnere responsabile di una fabbrica, ovviamente statale. La casa gliela diede il comune, e lei si assoggettò di malavoglia a convivere con la suocera, persona diffidente, convinta comunista e responsabile del paese. La ragazza venne a sapere che il padre era stato di nuovo arrestato e spedito a nord est della Siberia, dicevano dalle parti del fiume Kolyma a Magadan dove la temperatura arriva sino a 50° sottozero e si trovavano miniere dell’oro. Dopo qualche anno la politica di Mosca cambiò, vennero liberati molti internati tra cui suo padre, che sparì e da allora non si seppe più nulla. Alina seguitò il racconto della sua vita dicendomi della morta di suo marito causa infarto, ed esclamò «Pace all’anima sua ed alle sue continue infedeltà» sua figlia andò a vivere all’estero. All’epoca Alina ancora insegnava. Ogni tanto andava a trovare la suocera ultranovantenne che si era ammorbidita di carattere ma era ancora una convinta comunista. Terminato il racconto della sua vita dal volto gli scese una mezza lacrima. Mi mise nelle mani un quadretto a forma di casetta, con incollati sopra tutti i prodotti della terra Ucraina. Mi salutò dicendomi «Questa è la mia vita, che potevo fare ?» l’importante ricordo di Alina ora si trova sul mio pianoforte, e mi ricorda l’ingiustizia umana.
// Eugenio GandelliniRiproduzione riservata © Giornale di Brescia
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