Vita da precaria Storia esemplare di un’ingiustizia

Lettere al direttore
AA
Mi chiamo Laura Lanfranchi, ho 35 anni, abito in provincia di Brescia e sono una docente precaria della scuola italiana, triennalista, ho cioè maturato più di tre anni di servizio. Per l’esattezza, insegno da 7 anni, di cui 5 presso la scuola secondaria di I grado e 2 anni trascorsi negli Istituti Superiori. Sono docente di lingua francese, classe di concorso ormai in via d’estinzione nonostante la grande importanza che ricopre questa lingua meravigliosa. I miei contratti iniziano a settembre e terminano sempre al 30 giugno. Per anni ho donato me stessa alla scuola e ai miei alunni. Ogni 8 giugno, saluto le mie classi con la consapevolezza di non poterle ritrovare a settembre. Ogni 8 giugno, è un addio. Ogni 8 giugno, tremo all’idea di dover ricominciare tutto in un ambiente nuovo, con colleghi nuovi e classi nuove. Ogni 30 giugno, inoltre, mi ritrovo a dover fronteggiare due mesi di misera disoccupazione. Ed ogni 31 agosto, prego di poter lavorare. Sì, poiché non vi è alcuna certezza. Oltre ad essere una docente, in primis sono una mamma, mamma di un bambino di 4 anni e con disabilità. Mi chiedo quindi che futuro potrò mai dare a mio figlio, con quali basi economiche, non essendo a tempo indeterminato e non avendo certezza di poter lavorare. Come si può andare avanti così? Non si può e non si deve! Per anni ho «cresciuto», educato e trasmesso le mie conoscenze ed il mio sapere, ma soprattutto la mia passione, a oltre mille alunni, forse anche di più. Per loro ho svolto questo lavoro con dedizione, serietà e orgoglio. E cosa ricevo in cambio dal Ministero? Solo precarietà. E dal 2024 oltre al danno, pure la beffa! Noi precari triennalisti siamo chiamati a pagare più di 2.000 euro per avere l’abilitazione, abilitazione che fino allo scorso anno veniva conferita a chi superava il concorso e non a pagamento. Dove sta l’equità? Vogliamo parlare di come la professione del docente ormai sia elitaria? Chi ha i soldi va avanti, chi non li ha fuori dai giochi. Vogliamo infine parlare del fatto che i percorsi abilitanti per chi già è in possesso di altra abilitazione sono partiti a febbraio/marzo, e quelli indirizzati a noi triennalisti ancora non ci sono? Chi ha avuto da parte del Ministero la possibilità (anche economica, dal punto di vista personale) di accedere ai percorsi abilitanti si iscriverà in I fascia; chi non l’ha avuta, quindi tutti noi docenti triennalisti, circa 250.000 in tutta Italia, sarà obbligato a rimanere in II fascia e di conseguenza verrà scavalcato in massa da migliaia di colleghi (colleghi che magari hanno molta meno esperienza nel campo della docenza). L’amaro epilogo: rimanere disoccupati. Lo Stato ha permesso una grave disparità di trattamento tra lavoratori, appartenenti di fatto alla stessa categoria. Affermare che la nostra è una «Repubblica democratica fondata sul lavoro» significa dover assicurare a tutti la possibilità di lavorare. Il lavoro è un diritto, non un privilegio. Dove sono quindi i miei, i nostri diritti? Chiediamo che questa situazione, la mia e quella di tanti altri come me, non venga insabbiata e taciuta, chiediamo a voi di dar voce al dramma che noi, insieme alle nostre famiglie, stiamo vivendo!
Laura Lanfranchi
Docente precaria
Cara Laura,
nelle ultime settimane ci siamo occupati spesso di scuola e dell’incoerenza di uno Stato - cioè di tutti noi - che a parole tiene in gran conto il lavoro e la scuola, mentre nei fatti s’ingarbuglia, pasticcia, arranca.
Come giornalisti possiamo accontentarla per l’ultima parte, cioè facendo in modo che «questa situazione non venga insabbiata, taciuta».
Come cittadini invece spetta anche a noi un esame di coscienza, per le troppe volte che pur prendendo atto di un’ingiustizia proseguiamo oltre, non facendo seguito allo sdegno con alcun impegno fattivo, lasciando che la scintilla di indignazione si spenga presto nel sottovuoto dell’indifferenza. (g. bar.)
Laura Lanfranchi
Docente precaria
Cara Laura,
nelle ultime settimane ci siamo occupati spesso di scuola e dell’incoerenza di uno Stato - cioè di tutti noi - che a parole tiene in gran conto il lavoro e la scuola, mentre nei fatti s’ingarbuglia, pasticcia, arranca.
Come giornalisti possiamo accontentarla per l’ultima parte, cioè facendo in modo che «questa situazione non venga insabbiata, taciuta».
Come cittadini invece spetta anche a noi un esame di coscienza, per le troppe volte che pur prendendo atto di un’ingiustizia proseguiamo oltre, non facendo seguito allo sdegno con alcun impegno fattivo, lasciando che la scintilla di indignazione si spenga presto nel sottovuoto dell’indifferenza. (g. bar.)
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