Vita da pendolari: per andare al lavoro 240 km al giorno
Innanzitutto vogliamo ringraziarla per lo spazio che ci ha dedicato sul suo giornale dandoci così la possibilità di raccontare ai suoi lettori la nostra storia. Noi siamo un folto gruppo di lavoratori della Iveco Cnhi di Suzzara (Mn) che tutti i giorni fanno i pendolari partendo da Brescia per recarci presso lo stabilimento mantovano dove svolgiamo il nostro lavoro. Ogni giorno percorriamo tra andata e ritorno una media di 240 km, ovvero mediamente 4.800 km al mese. Tolte le festività le ferie e quant’altro percorriamo mediamente ben 48.000 km. all’anno; per fare un paragone la circonferenza della terra è di poco più di 44.000 km. Da ciò si evince che ogni anno facciamo il giro del mondo e ogni 11 anni scatta il giro bonus. Si è parlato a lungo su tutti i media locali e non solo, ma a nostro avviso sono stati trascurati diversi aspetti. A fronte di un importante calo produttivo che ha impattato sul segmento dell’Euro Cargo dal 2008 ad oggi siamo stati martoriati da 9 anni di ammortizzatori sociali. Il giorno 13 luglio 2015 le organizzazioni sindacali e i vertici Cnhi hanno formulato e firmato un accordo che citava il trasferimento «su base volontaria, in mancanza di volontari si procederà al trasferimento non opposto dei lavoratori», del personale in esubero, che in tale periodo era di 800 unità. I siti produttivi individuati nell’accordo erano Suzzara e Piacenza. Adesso molti si staranno chiedendo «ma se spontaneamente avete firmato accettando il trasferimento presso lo stabilimento di Suzzara, che problema c’è?». È qua che manca un pezzo importante della vicenda, ovvero la nostra scelta è stata così spontanea? Forse avevamo piena fiducia nell’accordo sottoscritto in data 13 luglio 2015 il quale non prevedeva solo l’incentivo economico ma nello specifico all’art.8 recita «le parti confermano il proprio impegno nel continuare le relazioni con gli enti/società di trasporto pubblico per la ricerca delle migliori condizioni economiche, anche attraverso apposite convenzioni, per un servizio di trasporto giornaliero per e da Suzzara. Allo scopo saranno coinvolte le pubbliche istituzioni per sensibilizzare circa il loro contributo al miglior servizio in termini di tempi e costi». La storia è andata proprio così, da un lato l’azienda ha usufruito e usufruisce tuttora di contributi pubblici (ammortizzatoli sociali) per crisi aziendale, dall’altro ha mandato in trasferta per anni dei lavoratori facendogli guadagnare cifre cospicue mentre a Brescia molti lavoratori hanno sistematicamente perso cifre importanti del proprio salario, ma non tutti però, perché altro fatto anomalo era che certi lavoratori e lavoratrici non hanno fatto un giorno di cassa integrazione dal 2008, anzi per esigenze aziendali prestavano pure del lavoro in regime di straordinario. Con questo meccanismo attuato nel tempo Iveco ha affrontato la partita degli esuberi, applicando una forma di rotazione nell’utilizzo degli ammortizzatori sociali a quanto meno discutibile. Come si può immaginare non c’era la corsa a firmare, ma ci sono state delle pressioni aziendali ai lavoratori più deboli: Rcl (ridotte capacità lavorative) anziani con pochi anni alla pensione, monoreddito, ecc... Molti di noi sono stati chiamati più e più volte a colloquio con l’azienda che offriva da un lato la garanzia occupazionale e dall’altro l’impegno verbale a trovare forme di trasposto idonee, capirà anche lei che dopo molti tentativi abbiamo accettato il trasferimento anche per paura. Funzionava così, i lavoratori venivano convocati a colloquio presso l’ufficio Hr, e il responsabile del personale di turno spiegava in modo anche non molto velato e veniva fatto comprendere che la strada era o il trasferimento o il rischio serio di perdere il posto di lavoro esauriti gli ammortizzatori sociali. Chi sollevava il problema del trasposto veniva rassicurato spiegandogli che c’era un pullman pronto ad accoglierli, ma l’azienda ovviamente era restia nello spiegare che un trasporto garantito nel tempo da Iveco non esisteva, perché il pullman che tuttora viaggia è un trasporto privato organizzato dai lavoratori e pagato dai medesimi, pullman che oggi c’è ma non si sa per quanto. Se malauguratamente il trasporto non riusciremo più a gestirlo che fine faranno tutti coloro che hanno firmato e sono sprovvisti di patente di guida o di qualsiasi mezzo di trasporto? Chi potrà viaggerà in macchina aumentando così il rischio di incidenti autostradali. Proprio in questi giorni è avvenuto a dei nostri colleghi un incidente, hanno rischiato di perdere la vita mentre si recavano a guadagnarsi da vivere, non le sembra un paradosso? Ora con il senno di poi se dovessimo tornare indietro nel tempo con la consapevolezza di come le cose sono andate non so quanti di noi sarebbero disposti a firmare nuovamente, probabilmente nessuno. Alla fine abbiamo capito fino in fondo che per l’azienda e non solo, siamo un numero e non veniamo considerati fino in fondo come padri e madri di famiglia che cadendo nella trappola della pressione psicologica oramai non riescono più a godersi un po’ di tempo con i propri cari perché quando parti alle 02.40 e ritorni alle 15.30, o quando parti alle 10.45 e ritorni alle 23.30 in casa e non trovi nessuno sveglio e se l’unica consolazione è vedere per 10 minuti i tuoi figli nel letto mentre dormono è deprimente. Speriamo che si tenga conto anche dell’art.7 dell’accordo sopracitato il quale prevede che in caso di «ripresa» dello stabilimento bresciano saranno soddisfatti in via prioritaria attraverso la disponibilità al rientro dei lavoratori trasferiti presso Suzzara, Piacenza. Allora basta con i discorsi come quelli della fabbrica 4.0, dove il capitale più importante per l’impresa è il dipendente. Ora chiediamo al sindacato e all’azienda di dare continuità a quanto sottoscritto nei vari accordi, chiediamo di andare oltre e di affrontare con il massimo impegno il tema che noi solleviamo.
// I lavoratori pendolari di Iveco SuzzaraAntonino Ferrante, Gianpietro Volpi, Giuseppe Larovere, Rosalia D’Oro, Alessandro Romano, Loofoh Ridh, Giovanni Chirico, Giacomo Russo, Salvatore Di Pace, Daniele Gasparini, Pietro Abbisogni, Romano Cabiati, Jeridouri Brahim, Marco Femaroli, Carmelo Marra, Andrea Belfiore, Giuseppe Ricciardi, Luigi Alberti, Pasquale Santaniello, Aniello Grandito, Vittoria Mercadante, Abdelmonam Akremi, Luana Zaniboni, Luca Santoro, Vincenzo Graquinto, Osvaldo Archetti, Diego Tellaroli, Umberto Colella, Aniello Cercion, Antonio Ciccone, Luigi Ferrazzano, Domenico Pisano, Francesco Consiglio, Hussain Shabeer, Pierangelo Gorlani, Raffaele Colantuono, Stephen Boakye, Eugenio Mottini, Antonio Shenz, Michela Patta, Roberto Sabbadini, Ivan Marinaci, Pasquale Calowe, Rodolfo Loia Cenolini, Biagio Puppo, Luigi Ficelo, Mbaye Papa, Emanuela Gallo, Giuseppe Nicato, Vincenzo Fasano, Dario Pietta, Filiberto Cardillo, Omar Moetar, Nicola Di Francescantonio, Battinelli Alessandro, Ailen Abu, Mario Montalto, Kuabi Asare, Mirko Mutti, Mirza Mohammadiiyas, Nicola Triventi, Afzal Ahmed, Habib Ahsan, Raul Amidani, Sergio Andreani, Damiano Antonica, Vincenzo Bertozzi, Luigi Biasi, Angelo Boni, Giovanna Castellini, Daniele Catalano, Roberto Chiappini, Roberto Chirivì, Francesco De Nittis, Giulio Ercolini, Francesco Esposito, Salvatore Fantasia, Ermes Guadenzi, Ghous Ghulam, Enrico Groppelli, Agostino Iervolino, Cosimo La Palma, Teresa M. Marcello, Arif Mohsen, Davide Nerini, Mirco Olivari, Christian Olive, Ivano Patuzzi, Roberto Pedò, Giuseppe Pintore, Pietro Pluda, Claudio Polonioni, Giuseppe Rendina, Claudio Riva, Sebastiano Rizza, Massimo Rongaroli, Stefania Sabbadini, Michele Saccotelli, Ullah Sami, Pietro Serpelloni, Francesco Sorbino, Vittorio Spataro, Marco Ussoli, Pasquale Vaira
Gentili Antonino, Gianpietro, Giuseppe, Rosalia e gli altri 100 sottoscrittori, tutti «pendolari forzati» sull’asse Brescia-Suzzara. Nel raccogliere il vostro disagio abbiamo aderito anche all’invito a diventare «uno di voi» (ne riferiamo in cronaca alla pagina 12) convinti come siamo che vivere una storia è il modo migliore per comprenderla, il modo migliore per raccontarla. La cronaca non può tutto, ma può - anzi, deve - rendere evidente una situazione che molti ignorano e che a fronte del posto di lavoro salvato frappone disagi e sacrifici enormi che gravano sulla qualità della vita dei singoli e delle loro famiglie. (n.v.).
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato