Vacanza non fa rima con partire: viaggio nella mia bella città
Si dice che essere in vacanza voglia dire non avere niente da fare e avere tutto il giorno per farlo. Succede una volta all’anno: venti giorni tutti per me. Non sono andata al mare, non sono andata ai monti, sono rimasta a Brescia e le ho dedicato o, per meglio dire, Lei mi ha dedicato tenerezze, delizie, stupore. Prima di tutto ho gustato il ricordo dei biscotti della famosa pasticceria Vicarielli che profumano tutto corso Garibaldi (se desiderate farli questi favolosi biscotti bresciani trovate la ricetta in Internet ma non saranno mai come quelli di santa memoria). Subito dopo arriva lo zucchero filato di san Faustino che mi avvolge in una nuvola bianca appiccicosa di nostalgia attaccata agli spigoli dei vecchi muri, alle griglie delle finestre, alle ringhiere dei poggioli. Suonano le campane di san Giovanni mentre io cammino sulla romantica strada della mia piccola patria. Mi piacciono le storie, le piccole storie legate ai grandi eventi e alle minuscole curiosità. Il Mostasù delle Cossere che dovrebbe essere l’effige del re dei Goti, Teodorico, mi costringe a recitare «Sul castello di Verona batte il sole a mezzogiorno» e mi riporta la frase di mia madre «A tavola non si invecchia». Lei la ripeteva ridendo senza sapere che Odoacre, sconfitto da Teodorico e invitato poi amichevolmente a cena venne ucciso a tradimento con una pugnalata alle spalle. Da quest’episodio sarebbe derivato il celebre: «A tavola non si invecchia», ma se mia madre avesse saputo di questa storia di tradimento e di sangue non l’avrebbe certamente inclusa nella santa litania dei suoi sacri proverbi. Guardo Teodorico, il grande re di alta distinzione e buona volontà, scolpito rozzamente nel muro e per giunta senza naso. Ecco allora che arrivano a gran galoppo le truppe dell’imperatore Arrigo VII che cacciano da Brescia i Ghibellini, devastano la città, e l’imperatore giura di distruggere le mura e di tagliare il naso a tutti i bresciani. Ussignur, poveri noi. Per fortuna interviene quel sant’uomo di legato pontificio Luca Fieschi che salva le mura e con il pagamento di una pesante taglia convince l’imperatore che, se vuol rimanere per sempre nella storia, gli conviene mutilare le statue che parlano in eterno. Detto fatto. Il Mostasù diventa una statua parlante in compagnia della Lodoiga, la bella dama in pietra dedicata alla poetessa Lodovica Fè d’Ostiani e sono entrambi i celebri Pasquini bresciani che fanno le domande e scrivono le risposte. In Piazza Loggia vorrei inginocchiarmi come faccio in chiesa È sicuramente la piazza del mio cuore, è abbracciata da eleganti palazzi di epoca veneziana tra i quali spicca la Loggia. Ci son voluti ottantacinque anni a farla, ma ne è valsa la pena perché è proprio un altare sacro di storia e di bellezza. Di fronte cantano per lei i Matti delle Ore.(Ma sarà proprio vero che i bresciani abbiano fatto accecare il costruttore dell’orologio astronomico perché non ne potesse fare un altro? Io non ci credo. Leggenda metropolitana). Mi incammino sotto i Portici e mi tornano alla mente le numerose Vasche dei tempi dell’Arnaldo e del Veronica Gambara, su e giù coi libri sotto il braccio e le risate e i primi incontri, e gli scalini del Teatro Grande dove le ragazze perbene non devono sedersi e la in fondo la profumeria Soldi e il Caffè Maffio. Mi sento fuori tempo e fuori spazio. Facevo meglio scegliere tra montagne e mare, tra il vin brulé di una baita e il cono gelato sulla spiaggia, questa passeggiata nei sentieri della memoria incomincia a bruciarmi la pelle più del solleone. Mi piove addosso tutto il passato, ma a me piace tanto l’odore della terra dopo la pioggia. Vado sui Ronchi, arrivo col fiato corto alla Tomba del Cane, così bianca nel verde dell’erba, mi siedo e, chissà mai per quale prodigio, sento la voce di mio padre che racconta che lì dovrebbe essere sepolto il cane di una giovane fanciulla che, insidiata da un ufficiale austriaco, sarebbe stata difesa dal suo fido compagno, ucciso a colpi di pistola dal male intenzionato e che lì avrebbe trovato il riposo eterno e la gloria. La mia maestra raccontava che non essendo potuto essere sepolto un certo Bonomini fosse stato sepolto il suo cane. Per me la tomba prese questo nome perché non fu sepolto neppure un cane e se ne sta tutta bianca e tutta vuota ad aspettarmi per dirmi, quando torno da qualsiasi viaggio, che sono arrivata a casa. È sempre un’emozione intensa vedere spiccare sui Ronchi quelle guglie eleganti e slanciate, punto di rifermento fisso e costante. Non ce l’ho fatta a visitare le quaranta chiese della città, ma non mi è stato possibile non ritornare per la centesima volta a san Salvatore, al monastero di santa Giulia, a salutare Ermengarda «Sparsa le trecce morbide sull’affannoso petto». E ogni volta mi incanto a contemplare Santa Maria in Solario nel suo firmamento inondato dalle stelle del Ferramola, quel cielo incantevole che ho sempre desiderato copiare nel soffitto della stanza dei miei bambini. Cielo rimasto nei sogni. Il monastero deve il suo nome a Santa Giulia, la martire cartaginese protettrice delle mani e dei piedi, le cui reliquie vennero portate a Brescia per ordine della regina Ansa. Il famoso museo è anche custode della Croce di Desiderio. Una Croce grande, incrostata di camei e agate e calcidonie e granate e turchesi e smeraldi e ametiste e corniole, uno scrigno di duecentododici gioielli testimoni dell’età romana e longobarda e carolingia. Una Croce che a me racconta la leggenda di Galla Placidia, la nobilissima Galla Placidia che mi piace definire la prima vera femminista della nostra storia. Finalmente mi incammino verso il Castello, percorro la scaletta che da piazzetta Tito Speri sale romantica e suggestiva. È l’ora del tramonto e vedere Brescia da quassù, da questo Falco grandioso che porta sulle ali tutte le fasi della storia bresciana è un’esperienza che sa di miracolo. Me lo vedo come Tempio antico, poi come Chiesa romana poi Mastio Visconteo, poi Fortezza veneziana e poi austriaca … Adesso è il mio favoloso castello che racconta la storia di stanze sotterranee misteriose abitate da leggiadri fantasmi, ma soprattutto offre un buon caffè, giardini fioriti e panchine per innamorati. Andare in vacanza non fa rima necessariamente con partire, restare a Brescia mi è piaciuto assai. E continuerò nei prossimi giorni a camminare sulle strade e nei vicoli della mia antica elegante città.
// Elena Alberti NulliBrescia
Invitante e avvincente. Quest’itinerario cittadino, infarcito di storia, arte e ricordi, merita spazio in deroga al limite di lunghezza per la pubblicazione. Nel ringraziare la poetessa Elena Alberti Nulli per averci invitato e accompagnato in questo viaggio, auguriamo ai vacanzieri di città buona lettura e, soprattutto, buona passeggiata. (n.v.)
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
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