Un’esperienza che mi ha aperto la mente
Parigi, Bruxelles, Istanbul, Nizza. Ogni volta assieme a dolore e incredulità la mia mente non può fare a meno di tornare indietro al luglio del 2002. A 22 anni partita da sola verso la Turchia, assieme ad un gruppo di altri giovani volontari come me: francesi, belgi, turchi. Io l’unica italiana. Fu un esperienza che aprì la mia mente, l’unica occasione che ho avuto nella mia vita di convivere con persone di cultura e religione islamica. Convivere e condividere: io insegnavo loro che l’acqua della pastasciutta va scolata e non fatta evaporare! I musulmani del gruppo si trascinavano giù dal letto alle 5 di mattina mentre il muezzin li chiamava alla preghiera (e quel canto dal minareto è un suono che non scorderò mai!) e mi parlavano delle loro tradizioni, delle loro usanze. Ci raccontavamo della nostra vita di giovani cristiani e giovani musulmani in un’Europa senza frontiere. Era l’estate in cui Erdogan si presentò per la prima volta alle elezioni, promettendo che avrebbe fatto della Turchia un paese moderno, una speranza che laggiù si respirava nell’aria. Pur vivendo in un paese per certi aspetti così arretrato da sembrare il terzo mondo... erano ragazzi come me. Identici sogni, identiche speranze, grande forza di volontà. Studiavano all’università come me. Guardavano la TV come me. Uscivano a divertirsi al sabato sera come me. Non ho mai sentito invidia da parte delle ragazze, che portavano la testa coperta dal velo. Solo curiosità, voglia di viaggiare, conoscere. Adesso mi sembra di assistere ad un sogno infranto. Ad un’Europa che si contorce su se stessa. Alla cultura della diffidenza, alla paura del diverso. Continuo a chiedermi perché i sogni di quei giovani non hanno avuto la forza di diventare realtà. Continuo a chiedermi se c’è ancora un posto dove dei ragazzi così uguali e così profondamente diversi abbiano voglia di vivere, crescere, lavorare assieme. Convivere. Qui in Italia sicuramente no. Stiamo andando in un’altra direzione. Il problema non è la Chiesa, non è l’Islam. Il problema siamo sempre noi uomini con le nostre teste. Siamo gli unici capaci di creare grandi cose, siamo gli unici capaci di distruggerle in un attimo. Dipende solo da noi. Persone disumane ce ne saranno sempre, di qualsiasi nazionalità. Io mi auguro ancora che di fronte a tutto questo terrore ci siano ragazzi e ragazze di vent’anni che, zaino in spalla, viaggino, stringano mani, si parlino, convivano. Parigi, Bruxelles, Istanbul, Nizza, rimarranno sempre segnati dal ricordo degli attentati, ma per me significheranno sempre anche una speranza nel futuro che nessun odio pseudo-religioso può cancellare.
// Stefania C.Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
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