Una tassa ingiusta. Così si penalizza il «pacco da giù»

In un Paese che si definisce solidale, dove le famiglie sono il cuore pulsante della vita quotidiana, trovo particolarmente inquietante la proposta di introdurre una tassa di 2 euro su ogni pacco spedito, inclusi quelli che partono dal Sud Italia, destinati a chi vive e lavora altrove, al Nord o all’estero. Quella che inizialmente sembrava una misura fiscale rivolta a contrastare l’e-commerce internazionale, potrebbe finire per penalizzare chi vive nelle regioni più vulnerabili del nostro Paese, danneggiando un legame sociale fondamentale: il «pacco da giù». Il «pacco da giù» è un simbolo della nostra cultura meridionale, un gesto di affetto e di condivisione che attraversa le generazioni. Nato come risposta alla migrazione interna degli italiani, è diventato una consuetudine che trasmette valori di solidarietà familiare e appartenenza territoriale. Un pacco di alimenti tipici del Sud, non è solo una merce. È il legame vivo con il proprio passato, è la presenza affettuosa di una madre o di un padre che, pur distanti, vogliono rimanere vicini ai figli che sono partiti, per lavoro o studio. La proposta di imporre una tassa di 2 euro su ogni pacco, se dovesse passare, rischia di compromettere proprio questo legame. Questo gesto di affetto e di sostegno quotidiano potrebbe divenire un lusso per pochi, un onere difficile da sostenere per chi, come milioni di cittadini del Sud, si trova già in una condizione di fragilità economica. Sarebbe un passo indietro non solo sul piano fiscale, ma anche su quello sociale e culturale. Le regioni del Sud Italia, spesso lasciate ai margini dal punto di vista economico e infrastrutturale, hanno nel «pacco da giù» una delle poche risorse che possono garantire un legame tangibile con le tradizioni, una forma di resistenza culturale contro l’omologazione. Questa misura è una tassa sul diritto di mantenere le proprie radici, sul diritto di non dimenticare da dove si viene. Per chi vive lontano da casa, il «pacco da giù» è molto di più di una spedizione commerciale, è una ragione per sentirsi meno soli, una forma di continuità con le proprie origini. Riteniamo che una tassa sul "pacco da giù" possa avere effetti devastanti, non solo sull’economia domestica delle famiglie, ma anche sulla libertà di esprimere la propria identità culturale. Chiediamo che il governo riveda questa proposta e concludo questa lettera con una speranza: che il «pacco da giù» continui ad essere simbolo di unione e di affetto, un piccolo gesto che racconta molto della nostra storia e cultura. Se questa tassa dovesse passare, avremo perso molto più di una tassa: avremo perso un pezzo della nostra libertà di essere.
Massimo MastruzzoReferente regionale Lombardia Movimento Equità Territoriale
Caro Massimo, troviamo sublime la difesa e l’elogio del «pacco da giù», che racconta il significato di famiglia, amicizia e comunità in un’Italia che nonostante tutto resiste. Un legame che soppressate, pomodori secchi, melanzane sott’olio e caciotte spiegano più di mille parole. Di contro, non useremmo i toni da tregenda, l’anatema da disgrazia epocale su una tassa inopportuna e insulsa pure per noi, ma che si riduce a due euro. Due. Non dieci, non venti. È vero che con la fragilità economica non c’è da scherzare e la vita è sempre più cara, altresì in meridione, tuttavia gridare all’attentato della «libertà di esprimere la nostra identità culturale» e agli «effetti devastanti sull’economia» è esagerato più di un filo. In alto i cuori dunque e non si disperi. Che, oltre al «pacco da giù», c’è un’altra tradizione che distingue il nostro Paese: si chiama «tarallucci e vino» ed è come quasi tutte le storie finiscono. (g. bar.)
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