Tra nuovo Ulivo e nuova legge elettorale
Non solo per cortesia, facciamo seguito alla lettera di Claudio Bragaglio, di qualche giorno fa su queste pagine, che parrebbe introdurre elementi nuovi nella tattica politica che vediamo instancabile dipanarsi nel fiacco giorno per giorno parlamentare. Può piacere l'entusiasmo con cui accoglie le novità proposte da Bersani, il suo segretario politico nazionale, un «nuovo Ulivo», una nuova legge elettorale. Può piacere che questo entusiasmo voglia essere contagioso e spingere la sua «parte» a rompere indugi e timidezze che certamente non giovano al Paese.
Per la rigida dieta a minestrine cui siamo abituati, l'intervento sembra far balenare la possibilità di pietanze più consistenti.
Ma ecco allargarsi il suo entusiasmo nell'auspicio di rinverdire i fasti locali delle passate vittorie locali, le Amministrazioni Martinazzoli e Corsini. E sorge così il legittimo dubbio che tutto possa ridursi ancora una volta a cercare di cambiare la maggioranza ma non la politica.
Vorremmo dare un contributo, e non possiamo che fare ricorso alla nostra cultura, cultura politica per la quale non siamo certo i riformisti che Bragaglio attende, (prima o poi qualcuno si scomoderà graziosamente per dirci in che cosa consiste il «riformismo» e che cosa vuol dire, dato che tutti da Fini a Vendola compresi Berlusconi e Bossi si definiscono tali), ma che ci insegna a cogliere le componenti profonde di questa inciviltà che corrompe la nostra società e che non sembra trovare ostacoli.
Riteniamo che l'analisi vada indirizzata sui motivi che hanno condotto a questo stato di cose. Se siamo ancora convinti che la colpa della vittoria di Berlusconi sia del Pdci o di Rifondazione Comunista allora tutti i problemi sono già risolti, queste due forze sono ora al di fuori del Parlamento, ma lo stesso Bragaglio, per non dire di Bersani, sembrano avere ormai qualche dubbio in proposito, cosa manca ancora? E come mai le sconfitte sono arrivate anche a Brescia dove questi due partiti non sono mai stati in maggioranza mentre i «riformisti» saturavano ogni spazio politico? Dopo il divieto di mangiare panini ai giardini si è arrivati alla deportazione degli zingari dalla Francia, sono ancora i comunisti il problema principale?
Questo Paese, questa città sono strangolati dai poteri forti, che si parli di informazione o di assistenza alla persona, di grandi opere o contratti di lavoro, gli interessi di questi potentati stanno facendo terra bruciata del tessuto di convivenza comune scavando fossati sempre più incolmabili tra chi gode di rendite certe e chi è preso per il collo tutti i giorni cercando di sopravvivere. Non è forse il momento di dichiarare che quel modello di sviluppo disgraziatamente condiviso da tutti gli eletti, deve essere accantonato? Siamo sicuri di avere le carte in regola per dire alla Compagnia delle Opere che la sanità e l'assistenza alla persona sono cosa diversa da uno strumento di potere? È importante o no che la questione del lavoro venga ribaltata nelle sue premesse, che, cioè, i padroni devono fare cassa a qualsiasi condizione per il bene dell'economia lasciando sul terreno un terzo della forza lavoro; quest'economia non riguarda forse tutti e non solo alcuni? Di questa città, da decenni, non sta restando altro che un cumulo di grandi opere, alcune brutte altre raccapriccianti; non è forse ora di dire a chiare lettere che si vuole il Parco delle cave ritirandoci dalla Commissione comunale per la Cittadella dello Sport che ne preannuncia altrettante ed altrettanti clientelismi? In fondo l'unico ricordo amministrativo che conservo della Giunta Martinazzoli è il Museo delle Mille Miglia al posto del Monastero di Sant'Eufemia, ci interessa davvero fare qualcosa che, per cambiare, ottenga la gratitudine di tutti invece che di qualche appassionato nababbo?
Comunque la si giri il motivo di una sconfitta politica è politico, non attiene solo all'ingegneria delle alleanze, né all'incomprensione del popolino, né alla colpa di qualche cattivone ingrato. Anche noi apparteniamo alla schiera degli sconfitti, ed i nostri demeriti sono noti, ma non è tra questi la rinuncia a fare la nostra parte a fronte di una società in grave difficoltà, esercitando quella radicalità di analisi e di pratica che è da sempre l'unica premessa per una qualsiasi riforma. Se oggi apparteniamo al campo della sconfitta ci piace pensare di esserlo alla stregua dei disoccupati e dei sottoccupati. Collocandoci con gli esclusi, in questa situazione politica ed economica, pensiamo che a volte valga la pena di stare fuori dalla porta. Con loro stiamo cercando alleati per uno scontro che valga la pena di affrontare. Se davvero si vuole cambiarla la politica a volte basta dirlo e farlo, questa potrebbe essere l'ultima chiamata. E anche se ti daranno del comunista, caro Bragaglio, si aprono stagioni in cui esserlo potrebbe essere un risorsa.
Lamberto Lombardi
Segreteria Pdci
Brescia
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