Sulla cittadinanza i diritti contano meno degli interessi

Sono passati quasi sotto silenzio i risultati del voto sui cinque referendum dell’8 e 9 giugno scorso. Mentre quattro dei quesiti hanno visto votare largamente per il Sì all’abrogazione, con percentuali variabili tra l’87% e l’89%, il quinto quesito, quello sulla cittadinanza italiana che prevedeva meno anni di attesa per stranieri residenti, ha registrato il 65,49% di Sì e il 34,51% di No (rispettivamente 9.023.665 e 4.754,382 voti). Un dato che pone in risalto, che la politica dell’accoglienza ed inclusione, non sia così condivisa dai cittadini. Gli stessi partiti che sostengono il Governo, che più volte si dicono difensori del messaggio cristiano, in questo caso sulla problematica dell’accoglienza, si sono lavati le mani, e non è la prima volta. Eppure era da poco, che abbiamo pianto la scomparsa di Papa Francesco, che dell’accoglienza perché «Tutti Fratelli», era stato un testimone, potremmo dire giornaliero. O erano lacrime di coccodrillo. Lo stesso nuovo Pontefice Leone XIV ci sembra sulla stessa linea. Esso ha espresso più volte il suo pensiero riguardo all’immigrazione, sottolineando la dignità umana di ogni individuo, inclusi i migranti, e l’importanza dell’accoglienza. «Ha invitato a considerare l’esperienza migratoria come un’occasione di arricchimento reciproco tra popoli». Le stesse Associazione vicine alla Chiesa, come Azione Cattolica, Il Movimento dei Focolari, la Comunità di Sant’Egidio, l’Agesci e le Acli, hanno detto e dicono di riconoscere l’apporto di una parte consistente della popolazione che, pur senza cittadinanza, contribuisce da anni alla vita del Paese. Sono lavoratori, studenti, genitori, contribuenti. Sono italiani di fatto, ma non ancora di diritto. Sulla cittadinanza è giunto il tempo in cui l’Italia faccia finalmente un passo in avanti. Come del resto la Dottrina Sociale della Chiesa da tempo ci insegna. Ma a quanto pare quando si parla di diritti, prima di tutto si pensa ai propri, non a quelli degli altri.
Marino MariniCalvisano
Caro Marino, da giorni e giorni, tenaci quanto la goccia che scava la roccia, passiamo al setaccio le molte lettere che prendono spunto dai referendum per affrontarne temi di sostanza o di principio. Oggi è il turno della cittadinanza e anche in questo caso chiediamo a tutti di essere prudenti, non traendo conclusioni generali da un quesito specifico. Se infatti i promotori - sbagliando - speravano di utilizzare il referendum come grimaldello per aprire un fronte più ampio, non è che ora gli oppositori - sbagliando anch’essi - ne utilizzino il fallimento per dire che va bene così, che ogni cambiamento è vietato. Non abbiamo la presunzione di spiegare cosa pensano gli italiani, ci limitiamo al pensiero nostro: il problema non è tanto il tempo per ottenere la cittadinanza, quanto il modo. Il nocciolo dirimente è la serietà con cui si concede la cittadinanza, la capacità di definire criteri precisi e un percorso condiviso. Vale per chi la cittadinanza la richiede, ma altresì per lo Stato che la concede e che non può permettersi le incongruenze che dimostra adesso. (g. bar.)
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