Studenti e docenti in vacanza nel segno della bellezza

Lettere al direttore
AA
Le scrivo per condividere la bellezza che ho sperimentato alcuni giorni fa. Si tratta della vacanzina durata 4 giorni che ho avuto il privilegio di vivere con 130 ragazzi di terza media e alcuni colleghi (io sono un professore di 25 anni). Non è stata la prima volta che la nostra scuola ha proposto ai ragazzi questa esperienza e non è stata la prima volta che, sebbene la scuola fosse finita, essi hanno accolto l’invito a passare giornate in montagna in compagnia dei loro insegnanti e presidi. Troppo è successo in quei giorni per spiegarlo in poche righe: si va dai giochi nel prato alla gita al lago ghiacciato, dai balli la sera all’esperienza del parco avventura, dai «frizzi» a fine giornata alla recita, per i ragazzi, di tre racconti di Buzzati, realizzata da noi docenti. E poi ancora: l’osservazione delle stelle, la gita alle cascate, i canti alpini, i pasti coi ragazzi, l’assemblea di condivisione, l’Angelus a inizio giornata. Molto spesso vedo in alcune persone del mondo adulto, del quale ormai faccio parte, una sfiducia verso il futuro, la percezione di un’emergenza educativa che alcuni provano a rattoppare, una mancanza di speranza. Invece a Dimaro, dove eravamo in vacanza, un gruppo di folli docenti ha provato a seminare bellezza a larghe mani, mettendosi in gioco senza difese e guardando ai ragazzi non per quello che avrebbero dovuto essere, ma per come erano e per ciò che sarebbero potuti diventare. C’è, inoltre, una convinzione che anima me e i miei colleghi: se un ragazzo ha di fronte un adulto che ama la realtà, che per primo resta silenzioso e felice di fronte a una cascata o alle stelle, allora c’è la speranza che quel ragazzo ami a sua volta. Non siamo illusi, ovviamente, è capitato (e lo notavamo) che l’alunno che avesse appena trovato la morosa poco ascoltasse i racconti di Buzzati, o che qualcuno abbia provato a cambiare stanza di notte (mascherando la fuga con degli zaini sotto le proprie coperte) o, ben diverso, che ancora non ci fosse la giusta apertura verso i compagni meno a proprio agio. Fa parte del gioco. A volte si è intervenuti con decisione per aiutare, altre volte si guardava severamente (ma soffocando un sorriso) il ragazzo che, scoperto che fingeva di dormire nascosto nella stanza degli amici a mezzanotte e mezza, tornava nella propria con volto colpevole. Certo, un’esperienza così non è stata improvvisata, è stata il frutto del percorso di tre anni, delle lezioni di ogni giorno in classe, ma anche di esperienze come il Banco alimentare, il servizio ai tavoli durante la festa della scuola, un week end in montagna in primavera. Un contributo lo ha dato forse chiedere agli alunni di consegnarci, appena arrivati, i cellulari (qualcuno lo ha nascosto ma qualcuno neppure lo aveva portato, ascoltando il nostro consiglio). Concludo riportando che non mi stupisce che alcuni ragazzi ci abbiano abbracciato per salutarci, finita la vacanzina.
Noi professori abbiamo provato, umilmente e senza chiasso, per tre anni, a portare alla luce bellezza, quella bellezza che per primi vediamo nella realtà.
Speriamo cresca. Noi ci crediamo e per questo andremo
avanti a farlo
.
PGZ
A questo professore, alla sua scuola e ai suoi colleghi va un triplo grazie: primo, per aver dato vita (rendendocene partecipi) ad una storia che dimostra come – volendo – la fruttuosa relazione tra insegnanti e alunni non ha calendario scolastico, anzi: sa andare ben oltre, anche a percorso di studi finito. Secondo, regala fiducia nella scuola del futuro: bello incontrare insegnanti così motivati, peraltro giovanissimi. I nostri figli sono in buone mani. Terzo, la bellezza come fine della missione didattica: bellezza da scoprire, da vivere, facendo esperienza di natura, socialità, gioco, stelle, cascate e abbracci. Del resto, per dirla come Khalil Gibran, viviamo solo per scoprire nuova bellezza: «Tutto il resto è una forma d’attesa».
(n.v.)
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