Sì, oggi il nostro «non è un paese per pazienti poveri»

Lettere al direttore
Lettere al direttore
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U na Via Crucis delle liste d’attesa: dato il periodo pasquale mi viene questo di paragone. Immagino di non essere la prima a scriverle in merito, ma tant’è, bisogna pur sfogarsi. Se non ricordo male, alle ultime elezioni regionali il ridimensionamento delle attese per le visite mediche in regime di sistema sanitario era stato uno dei cavalli di battaglia delle varie liste in Lombardia. Orbene, mi sono trovata nella condizione di dovermi sottoporre a un’ecografia. Trattandosi di questione di una certa urgenza, il mio medico di base mi ha prescritto la prestazione da effettuarsi entro i dieci giorni. Abito in Valtrompia, perciò mi sono rivolta all’ospedale di Gardone VT, dove mi hanno comunicato che con questo tipo di priorità l’appuntamento potevano darmelo al 29 maggio (due mesi di attesa). Chiedo, per curiosità, quale sarebbe stata l’attesa senza la priorità. La risposta è stata «A gennaio». Però! Prendo l’appuntamento con i tempi proposti e comincio quello che, in gergo, si chiama il giro delle sette chiese, nella pia illusione di trovare tempistiche migliori: telefono alle varie cliniche private convenzionate col Ssn, e tutte mi rispondono che con questa priorità non hanno posto fino all’anno prossimo, e di esser vincolate dato che l’impegnativa questo riporta. Tento anche con qualche centro diagnostico privato convenzionato, stessa cosa. Non ho osato chiedere quale fosse l’attesa senza priorità: il problema io ce l’ho ora. Però, privatamente, e quindi pagando, il posto c’è in tempi brevi, e quindi, alla fine, obtorto collo, mi piego all’esigenza e prenoto così. Ora, per la politica, io utilizzo il metodo Andreotti «a pensar male si fa peccato ma non si sbaglia», perciò sono propensa a pensare che, a fronte delle vane promesse elettorali, questo sia il metodo scelto per accorciare le attese: se puoi paghi, sennò aspetti. E se hai un problema adesso, spera solo che nel frattempo non si aggravi, ma, parlando di salute, è più facile il contrario. Direi che son capaci tutti a risolvere così i problemi. Nella speranza, augurandomi non vana, che qualcuno decida di far qualcosa di serio in merito, non mi resta che augurare buona Pasqua.
Silvia R.

G

entile lettrice, tralasciando richiami evangelici, lettere simili approdano con una certa frequenza in redazione rimettendo puntualmente il dito in una piaga, perché chi ricorre al Servizio Sanitario Nazionale non lo fa per sport o per ingannare il tempo, mentre invece il tempo dilatato dell’attesa di responsi o terapie, si trasforma facilmente in ulteriore malessere e malattia. Come ha titolato l’Avvenire, il nostro «Non è un paese per pazienti poveri», perché si rischia davvero a questo punto di avere una sanità «per censo», se già oggi il 42% dei cittadini - lo dice il rapporto Ospedali e salute» curato da Aiop-Censis - deve rinunciare alle cure non potendo far fronte alle spese nella sanità privata. Il «padre» del Censis, Giuseppe De Rita, teme persino ulteriori peggioramenti con la autonomia regionale differenziata. Il paradosso è che comunque il 47% degli utenti esprime ancora un giudizio positivo del Ssn. Il nodo allora resta uno: quanto siamo disposti a spendere per salvare il principio di universalità (efficiente) di quello che è stato un fiore all’occhiello delle riforme italiane, il Servizio sanitario nazionale. (g.c.)

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