Sfuggito di mano il problema cinghiali stop alle devastazioni

Si chiederà perché dovrebbe soffermarsi a leggere e addirittura prendere in considerazione l’ennesima lettera di allarme per la «questione cinghiali». Una questione trita e ritrita, un argomento ormai «bruciato», per dirla nel vostro linguaggio. Ma è per questo, esimio direttore, che anche noi ci permettiamo di inviarle l’ennesima lettera. Una lettera che non può più limitarsi ad essere un grido d’allarme ma deve essere, nostro malgrado, uno sfogo dato dalla presa di coscienza che la situazione cinghiali è, fuori da ogni ipocrisia, sfuggita di mano. Uno sfogo che non è un puntare il dito contro alcuno, non servirebbe a granché, ma piuttosto un voler dar voce ad una situazione che per essere risolta ha probabilmente bisogno di più teste (com’è d’altra parte di ogni problema). Perché, appunto, per l’ennesima volta siamo a sottolineare la trita e ritrita «questione» cinghiali senza che se ne veda soluzione alcuna. Noi viviamo in una piccola realtà montana inserita nel Parco Naturale dell’Adamello e nella Riserva Regionale delle Incisioni Rupestri, e questo già dice molto della singolarità della realtà in cui abbiamo la fortuna di essere inseriti, paesaggisticamente e culturalmente parlando. Una piccola realtà, un paese di gronda dove le scorribande dell’ormai infelicemente famoso ungulato non lasciano certo il segno economicamente parlando, le nostre campagne non portano alcunché all’economia su larga scala, ma addirittura non ne portano all’economia locale, eppure la presenza sempre più numerosa del suinide sta limitando fortemente il nostro vivere. L’aumentare vertiginoso dei capi, e il loro avvicinarsi sempre più all’abitato ed ai boschi limitrofi alle cascine, sta creando un vero e proprio allarme in gran parte, sia detto, giustificato: ormai la maggior parte dei terreni non è più fruibile da parte dei proprietari e l’aggirarsi dell’animale nelle zone boschive limita molto i movimenti di ciascuno, sia esso abitante del Parco o semplice avventore. Il Parco Adamello tutela, e a ragione, zone singolari per flora e fauna, ma l’impressione spesso è che a non essere per niente tutelato sia l’uomo. Lettere, telefonate, e poi la snervante attesa di una qualche battuta di caccia che, siamo sinceri, non porta mai ad alcun che. Da una antropizzazione del territorio, che va detto, sarebbe errata e deturperebbe l’ambiente (ma di cui non c’è alcun rischio dato il continuo spopolamento delle zone montane e isolate come la nostra) si rischia di passare ad un totale asservimento dell’ambiente all’animale. Bisognerà pur trovare una soluzione. Certo siamo consapevoli che non potrà essere, come richiesto da molti, l’abbattimento di tutti i capi, cosa pressoché impossibile al punto in cui stiamo, e che probabilmente l’unica alternativa sarà data dalla convivenza dell’uomo con il selvaggio antagonista. Ma il rispetto di qualsiasi specie animale non può prescindere dalla sua integrazione con le esigenze antropiche, invece di questo passo i cinghiali li troveremo anche sul sagrato della chiesa! E allora che fare? Innanzitutto poca ipocrisia: non una cultura totalmente antropocentrica ma nemmeno il suo contrario. Numerosi capi andranno abbattuti, con buona pace degli animalisti. A tal proposito la Regione Lombardia ha emanato un decreto di Eradicazione, per quanto riguarda il nostro comprensorio della specie «cinghiali», che però a quanto pare non viene messo in atto, o non del tutto, sennò la situazione non sarebbe questa, e a detta dei cacciatori ci sono limiti sulla quantità di capi da abbattere - il superamento dei quali porta a pesanti sanzioni - che sono irrisori, e con cui non si va, data la quantità di animali già marcata e pur sempre crescente, da nessuna parte. La speranza è che le potenziali soluzioni non ci vengano, per l’ennesima volta, calate dall’alto, ma vengano concordate con i soggetti competenti, non ultimi appunto i cacciatori. Se il nostro non ha in natura un antagonista, si dovrà pur trovare una soluzione al suo preoccupante aumento. Esagerazione? Basta fare un giro nel territorio di Cimbergo e ci si renderà conto di quanta desolante devastazione caratterizzi splendidi paesaggi. Ecco, noi attendiamo ma... che si faccia presto, che è già troppo tardi!
// Sara De Marie Dolores SpandreCimbergo
Gentili lettrici, sono diverse e intrecciate tra loro le cause dell’espansione esponenziale dei cinghiali anche nel nostro territorio: lo spopolamento demografico della montagna, la mancanza di grandi predatori, la ripresa dell’espansione delle aree boschive, le passate politiche di gestione dei cinghiali... Ed è proprio questa complessità a rendere difficile pensare a soluzioni semplicistiche (come ad esempio la caccia tout court) di un problema ogni giorno più pesante, anche dal punto di vista economico. Difendersi dagli ungulati è costoso e farsene riconoscere i danni, quantificandoli seriamente, non è semplice (in particolare quelli causati dal «rooting», l’attività istintiva di scavo per reperire radici, tuberi e piccoli invertebrati). Ci sono danni diretti alle colture e poi altri, più generali, all’habitat naturale per gli squilibri che un eccessivo carico di esemplari su un territorio sempre provoca. E su questo punto urge una riflessione più complessiva proprio sulla gestione dell’ambiente in aree fortemente antropizzate, e delle speci animali, autoctone o meno, che ci vivono. Per tener presente, nel cercare di risolvere un problema (come ad esempio quello dei troppi cinghiali) anche gli effetti che le scelte operate avranno in prospettiva. Insomma perché, come si dice, il rammendo non risulti peggio dello strappo. (g.c.)
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