Servizi alla persona. Preserviamo il modello italiano

Per lavoro mi occupo da anni di servizi socio sanitari per anziani, residenziali, diurni e domiciliari, e mi rendo conto che siamo in questi anni di fronte a un grande spartiacque. Mantenere il modello italiano, o passare a quello francese? Cerco di spiegarmi meglio. L’Italia è sempre stato il Paese dei Comuni, del territorio, della comunità, nel mondo delle imprese la nostra forza sono le piccole e piccolissime imprese, nei servizi socio sanitari il nostro modello è quello diffuso, quello degli enti del terzo settore, siano essi fondazioni o cooperative sociali. In questi servizi ci conosciamo tutti per nome e cognome, conosciamo le storie dei nostri residenti e quelle dei nostri operatori. Ma il mood del momento è quello dei grandi gruppi, quello delle grandi strutture da oltre 300 posti letto, quello delle grandi imprese anche cooperative che fatturano centinaia di milioni di euro. La spinta è quella a creare servizi dove al primo posto non c’è solo la sostenibilità economica e sociale che tutti gli enti del terzo settore bresciano mettono al centro, ma quella dell’Ebitda, del margine, della standardizzazione. Sarà questo il modello del futuro? Abdicheremo alla nostra storia? Metteremo da parte il principio di sussidiarietà che è alla base del nostro sistema di fare welfare, e ancora ci dimenticheremo della dottrina sociale della Chiesa che è sempre stata un faro illuminante per i nostri servizi? Vedete, queste domande non sono per gli addetti ai lavori, queste domande sono per i cittadini, per gli operatori, per le famiglie e per gli anziani che hanno bisogno di assistenza. Credo che gli enti del terzo settore, le fondazioni e le cooperative sociali che continuano a resistere malgrado le fatiche, che lavorano sul territorio con gli operatori che si conoscono fra di loro, i Comuni, l’Ats, le Asst e la Regione dovrebbero rilanciare un grande patto per fare rete, rinforzare il modello territoriale e sussidiario, permettere di creare economie di scala pur restando piccoli e capillari, non rincorrere la logica del «mega» a tutti costi che poi alla fine corre il rischio di essere avulso dalla realtà dei nostri Comuni. La sussidiarietà, il territorio, le reti locali, le associazioni, gli Alpini ci insegnano che per mettere al centro l’uomo bisogna restare uomini in mezzo a chi ha bisogno. Proviamo insieme e rilanciare il nostro modello di welfare, torniamo «nuovi» ma senza «abdicare» la nostra storia. Sono certo che mettendoci insieme saremo in grado di dimostrare che possiamo farcela e rilanciare il nostro modello più autentico.
Massimo CavagniniOspitaletto
Caro Massimo, sottoscriviamo in pieno. Quello che solleva è un tema alto e, nel contempo, riguarda noi tutti da vicino. Nel concreto, ogni modello va innanzi tutto «immaginato», partendo dal territorio che abitiamo, dalla tradizione che condividiamo, da chi realmente siamo. Vale per i «servizi alla persona», ma pure per la politica, per l’economia e per altro. Grazie dunque per lo spunto che ci ha dato. L’argomento è tanto vasto e necessita di una profondità tale che non può esaurirsi in una lettera, ma una lettera può accendere la scintilla della riflessione, del dibattito. Insieme, possiamo farlo. (g. bar.)
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