Se piove nel giorno di Santa Croce... (c’è anche del bello)

Lettere al direttore
Lettere al direttore
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«Se piöf el dë de la cruss, quarantô dé piûûss» (Se piove il giorno di Santa Croce, ci saranno quaranta giorni di pioggia). Con questo proverbio, i nostri antenati che vivevano esclusivamente di agricoltura e allevamento, cercavano di esorcizzare le piogge di maggio. Era (ed è) infatti, abbastanza frequente che maggio si riveli un mese in cui le precipitazioni abbiano la meglio sul bel tempo. Ciò nonostante, maggio era il mese della fienagione più importante dell’anno, per la qualità e per la quantità del fieno prodotto, il maggengo appunto. I nostri nonni e i nostri bisnonni non avevano né la tv con le previsioni del tempo, né gli smartphone con le info sul meteo e le sicurezze su di una buona e propizia stagione arrivavano loro dai proverbi e dalla forza della tradizione. Scrutavano il cielo, cercavano di fiutare l’aria e se non «odorava» di pioggia si procedeva allo sfalcio del «mazeng», sperando nella fortuna di una settimana senza pioggia. L’erba del maggengo o maggese era quella che dava la maggior quantità di fieno e, altresì, il contributo maggiore al riempimento dei fienili svuotati dall’inverno appena concluso. Unico nemico per la buona riuscita della fienagione, era la pioggia. Una costante, se pur leggerissima pioggerellina, che si fosse ripetuta con un intervallo di qualche giorno durante il mese di maggio, sarebbe stata sufficiente per compromettere la buona riuscita del fieno. Se ben riuscito, al contrario, il maggengo avrebbe rappresentato una riserva di energia per l’inverno e il suo caratteristico profumo acidulo, sintomo di una perfetta fermentazione, avrebbe inondato le greppie e le stalle nei mesi invernali successivi.
Ludovico Guarneri
Ghedi

Caro Ludovico,

ogni tanto è cosa buona e giusta prendere fiato, accantonando per un istante segnalazioni, appelli e proteste, trovando sponda nel piccolo mondo antico dei ricordi.

Non è tuttavia per la mielosa nostalgia del tempo passato - chi ci segue lo sa: la rifuggiamo come sulla pelle l’ortica - né per l’attualità del proverbio che mettiamo in evidenza questa lettera. Ad intrigarci infatti sono alcune parole ormai desuete e a cui lei invece concede dimora.

«Acidulo», «maggengo», «sfalcio»...

Esiste una bellezza, oltre che un ampio assortimento di parole, che le conversazioni attuali e pure gli scritti hanno dimenticato. Ma la varietà di una lingua non è accessoria: formando il pensiero, costituisce l’essenza stessa delle persone che siamo. Aiutiamoci dunque vicendevolmente a non impoverirla, tenendola viva, oltre che vispa. (g. bar.)

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