Se la città «si cura» può diventare più sicura e sociale

Lettere al direttore
AA
Il vivace dibattito intorno alle modifiche al Regolamento di Polizia urbana, approvate dal Consiglio comunale nella seduta del 26 luglio scorso, si è incentrato in particolare sulla introduzione del Daspo urbano, offuscando l’introduzione di altre previsioni particolarmente qualificanti, che vanno invece sottolineate.
Il testo del Regolamento è stato integrato con l’inserimento, per la prima volta, di un richiamo al senso civico, cioè a quell’insieme di comportamenti che attengono al rispetto degli altri e delle regole di vita in una comunità. A tal fine si prevedono iniziative in collaborazione con le agenzie educanti del territorio, quali le scuole, le associazioni, l’Università, in sostanza con quella rete sociale orizzontale che favorisce la solidarietà e le buone relazioni. Inoltre, vengono richiamati principi di mediazione sociale quale metodologia di composizione dei conflitti.
Nei contesti di vita comunitaria e negli spazi condivisi, è inevitabile l’insorgenza di conflitti, derivanti dall’interazione di persone con stili di vita diversi e talvolta opposti e quale conseguenza di differenze di abitudini sociali, culturali, anagrafiche, oltre che di una società sempre più complessa e variegata in rapida evoluzione.
Il conflitto gestito con modalità di contrapposizione fra opposti interessi, con la pretesa di alcuni di essere prevalenti rispetto agli altri, ottiene l’effetto di chiudere i canali comunicativi e di non riconoscere nell’altro il valore di «persona» e può degenerare in fenomeni di intolleranza ed anche illegalità diffuse che, se collocate in una cornice meramente repressiva, non possono che allontanare ancora di più le parti e inasprire la conflittualità sociale, privando in tal modo il tessuto cittadino dell’integrazione e dell’inclusione di tutte le sue componenti ma anche con la conseguenza di elevare l’allarme sociale e quindi la percezione di insicurezza fra la cittadinanza.
La mediazione sociale vede nel conflitto sociale una opportunità di cambiamento e di crescita per l’intera comunità locale, una dinamica potenzialmente virtuosa piuttosto che una patologia sociale da curare, in cui la comunità territoriale risulta essere così uno spazio in cui non vigono processi di esclusione ma, al contrario, di costruzione di reti locali di associazioni, scuole, servizi, operatori commerciali e degli organi di partecipazione e semplici cittadini che, con diverse modalità e tempi, aderiscono e partecipano alle diverse azioni progettuali, in una logica di corresponsabilità.
Le esperienze maturate in materia ci indicano come il rafforzamento dei legami sociali e la restituzione degli spazi urbani alla collettività, divengono fattori protettivi dello sviluppo della comunità in quanto in grado di coinvolgere tutti gli individui, anche i più marginali, con positive conseguenze non solo nella sicurezza percepita ma anche in quella reale, nonché nella prevenzione dei reati e nel contrasto alla criminalità.
Una risposta efficace e duratura all’esigenza di sicurezza e di prevenzione, con l’obbiettivo di eliminare o
ridurre la frequenza di determinati comportamenti - siano essi qualificati criminali o devianti - interagisce necessariamente sia con le politiche sociali che intervengono su quelle che si ritiene ne siano le cause - ad esempio le diseguaglianze, la marginalità, le patologie sociali - sia con altre forme di recupero e di rinforzo della coesione sociale e sostenendo azioni di cura sia degli spazi pubblici che delle relazioni, per rendere la città sempre più accogliente e integrata.
In questo modo si pone al centro non tanto il «problema della sicurezza» quanto piuttosto la «sicurezza urbana come risorsa da costruire insieme».
Si potrà progettare, nei prossimi mesi, come declinare con azioni concrete questi importanti principi inseriti nel Regolamento di Polizia Urbana, con il supporto delle reti sociali orizzontali, nella logica di sicurezza partecipata prevista nelle Linee di Mandato 2023-2028 e come comunità capace di trovare al proprio interno le risorse attive per aumentare non solo la sensazione di benessere ma anche la percezione di sicurezza urbana.
Una «città che si cura» e, quindi, «sicura».
Beatrice Nardo (Pd)
Presidente Commissione Servizi alla Persona
Comune di Brescia
Prima l’approvazione - dopo vivace e a tratti feroce dibattito in Loggia - del Daspo urbano, poi le proteste della Sinistra italiana con le accuse di ingerenza da parte della Prefettura. Quindi la replica dell’ufficio del Governo che si è tirato fuori dalla querelle incassando ieri anche la solidarietà del centrodestra, per passare alle precisazioni della sindaca che, sempre ieri, ha rivendicato l’assoluta autonomia della scelta della Giunta (vedi cronaca a pagina 12). Ce ne è abbastanza per giustificare fiumi di inchiostro. Ma le precisazioni della presidente Beatrice Nardo meritano sottolineatura affinché il dibattito, pur legittimo, non offuschi il quadro di insieme, ovvero lo sforzo di predisporre un piano capace di affrontare il tema della sicurezza in città, integrando mediazione e promozione sociale con strumenti repressivi. Forte il richiamo alla compartecipazione, al di là delle ideologie e degli schieramenti. La città merita lo sforzo. (n.v.)
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
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