Se in tv si seminano parolacce, difficile poi stoppare la volgarità

AA
La sera del 15 novembre, mentre rientravo dal corso di inglese, mi è capitato di accendere la televisione. Secondo Canale, Rai2. Trasmettevano un film di azione «Quelli che mi vogliono morto», prima visione Rai, con Angiolina Jolie. Mi è capitato di assistere a qualche dialogo e... sono rimasto interdetto! Parolacce (la più «sana» era m...), volgarità a tutto spiano, allusioni ed espliciti riferimenti sessuali... Io non so se tutto dipendeva dalla traduzione ma è questo che passa nei film in tv? Ad un’ora cui potrebbero esserci minori e/o comunque bambini piccoli? Non mi considero un bacchettone, ho poco più di 60 anni e non mi sento assolutamente «vecchio», però non mi piacciono gli spettacoli (non solo i film) dove prevale il turpiloquio, alla volgarità esibita, ostentata, la volgarità in generale. A chi giova? È sempre necessaria? Qualcuno obietterà che questo è il mondo di oggi ed è vero pure che abbiamo mandato al Parlamento gente al motto del «vaffa», ma poi abbiamo visto come è andata. E poi dico: se i mass media diffondono volgarità, cosa si raccoglie? È educativo o diseducativo che la volgarità, la parolaccia, il turpiloquio siano diventati quasi dei valori? E in nome di quale libertà? Quella di sporcare tutto con la scusa che così è la realtà? E poi la tv di Stato non dovrebbe avere anche qualcosa di educativo, di etico? Sono un illuso? Io non auspico ovviamente un ritorno alla censura degli anni passati ma - visto che pago il canone - pretenderei spettacoli «un po’ meno» volgari, meno diseducativi, perché se semino parolacce alla gente difficile poi possa raccogliere perle: più facile raccolga altra volgarità, risentimento, rabbia. A chi giova?
C. M.
Comprendo e condivido le riflessioni del lettore sulla forza, nel bene e nel male, della parola. E sulla responsabilità dei singoli nell’uso e nell’abuso. Affrontare il tema è scomodo, per molti addirittura fuori tempo, come se la buona parola avesse una data di scadenza. Ed è così che stiamo sdoganando di tutto, in tv ma anche a scuola, per non parlare del mondo social e senza dimenticare stadio e persino il parlamento. Con tanto di giustificazioni giuridiche discutibili e discusse, come la decisione del Tribunale di Brescia di archiviare l’indagine per diffamazione chiesta da un presidente di associazione di categoria economica bollato in un post di Facebook come «mafioso» e «schifoso venduto». Termini «oggettivamente offensivi», riconosce il gip, ma che «hanno anche il significato di mero giudizio critico negativo». Come dire: maleducati, purché dissenzienti, avanti tutta! Non so dire a chi giova. So a chi non giova, comunità educata ed educante in primis. (n.v.)
C. M.
Comprendo e condivido le riflessioni del lettore sulla forza, nel bene e nel male, della parola. E sulla responsabilità dei singoli nell’uso e nell’abuso. Affrontare il tema è scomodo, per molti addirittura fuori tempo, come se la buona parola avesse una data di scadenza. Ed è così che stiamo sdoganando di tutto, in tv ma anche a scuola, per non parlare del mondo social e senza dimenticare stadio e persino il parlamento. Con tanto di giustificazioni giuridiche discutibili e discusse, come la decisione del Tribunale di Brescia di archiviare l’indagine per diffamazione chiesta da un presidente di associazione di categoria economica bollato in un post di Facebook come «mafioso» e «schifoso venduto». Termini «oggettivamente offensivi», riconosce il gip, ma che «hanno anche il significato di mero giudizio critico negativo». Come dire: maleducati, purché dissenzienti, avanti tutta! Non so dire a chi giova. So a chi non giova, comunità educata ed educante in primis. (n.v.)
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
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