Se il medico non ascolta il paziente

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Negli anni ’60 ero una bambina che viveva in un paesino della bassa bresciana; il medico condotto arrivava in bicicletta dal paese vicino, il suo studio era l’osteria del paese e la sua segretaria era l’oste ed era incaricata di dire ai malati che lo andavano cercando, in quale abitazione il dottore si trovasse; per cui, se avevi proprio bisogno di lui, andavi alla casa di Tizio piuttosto che Caio per esporgli il tuo problema. Era sempre disponibile 24 ore su 24, 7 giorni su 7, come dettavano le leggi di allora.A quei tempi le autorità riconosciute del paese erano: il parroco, il medico e la maestra che io salutavo dicendo «riverisco»; il dottore (che era stato medico militare e dai modi spartani) mi invitava a salutarlo con «buon giorno o ciao», perché lui non era un prete. Con la rivoluzionaria legge del 23 dicembre 1978 n. 833, nell’ambito dell’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale italiano, veniva introdotto il medico di famiglia o anche detto medico di base; io, ormai giovane donna e spesso residente a Londra, riconoscevo l’indubbio sforzo fatto dal nostro Stato nell’offrire a tutti l’assistenza sanitaria in modo eguale e gratuito, senza sperequazioni tra gli assistiti. La figura del medico condotto spariva e cedeva il posto a quella del «medico di famiglia». Dopo un incerto uso del termine «medico di famiglia» (magari alla gente sempliciotta veniva da pensare che il medico dovesse stare a pensione a casa dell’una o dell’altra famiglia) si è preferito la dicitura del «medico di base», assolutamente inequivocabile: nessuno possedeva una base, e tantomeno conosceva il significato della parola. La rivoluzione della categoria medica, oltre che alla sostituzione dell’appellativo di medico a quello usato più frequente di dottore, (perché di quelli c’è ne sono tanti, soprattutto a Roma!), si manifesta anche in una nuova accezione del termine base, che diventa sinonimo di «base operativa»: i medici si attrezzano di uno studio con segretaria perché filtri telefonate, fax, mail, orari per appuntamenti e per ricette: più che una base, lo studio medico diventa, man mano, un bunker a cui si accede col contagocce: un profondo divario fra medico e utente. Mi chiedo: i nostri medici da chi si nascondono? Chi temono? Noi. Noi malati che abbiamo bisogno di loro e che ci presentiamo nei loro studi con testa bassa, voce tremula e mani sudaticce? Questo nemico scalcinato provoca una paura tale da costringerli a trincerarsi nei loro studi, a non rispondere al telefono, e anche quando sei più di là che di qua, devi perorare la tua causa presso la segretaria che, a suo buon senso, va a pregare il tuo medico di chiamarti al telefono… Questo è successo a me, in prima persona e più di una volta. Considerando il comportamento negligente e recidivo del mio fornitore di prestazioni ho protestato con il suo superiore: il Presidente dell’Ordine dei Medici di Brescia. Ho dovuto insistere molto, ma alla fine l’ho spuntata: il Presidente ha passato la mia pratica alla Commissione Disciplinare che ha convocato il medico che si è difeso e che è stato prosciolto così hanno ripassato la pratica al Presidente che l’ha rinviata nuovamente a me. Stop! Basta! Con un colpo di mano ho fermato la catena di Sant’Antonio: ho chiesto un appuntamento con il Presidente - io non sono una molecola impazzita, sono la normalità! - e voglio chiarire le responsabilità delle persone coinvolte in questa farsa grottesca. Il Presidente, posto di fronte a un’inequivocabile documentazione fornita da me, dopo un lungo tiramolla ha deciso in modo non proprio salomonico, che esistevano 2 verità: la mia e quella del medico; mancava, però, un responsabile! Dal momento che la mia ostinazione non gli consentiva di fare di me una vittima sacrificale, il colpevole è stato individuato nella persona della segretaria, l’anello più debole della catena e non presente al colloquio; ovviamente era una scempiaggine, rigettata da me all’istante e con fermezza. Abbandonando ogni forma di diplomazia il Presidente mi ha posto la domanda più ovvia e che doveva essere fatta sin dall’inizio del colloquio: cosa mi aspettavo dal mio medico di base; gli ho risposto che desideravo delle scuse per avermi lasciato sola nel momento del bisogno.
È rimasto basito. 
Nonostante la convocazione dei saggi del sistema medico dirigenziale, a nessuno è venuto in mente di verificare il contenuto della mia lettera: stavo reclamando il diritto fondamentale di ogni malato nei confronti del suo medico curante: l’accoglimento dei suoi bisogni. Ringrazio i medici ospedalieri che mi hanno aiutato con pronta sollecitudine nell’emergenza. È una vicenda triste e ancora dolorosa che ho voluto condividere con il sorriso amaro dell’ironia e nella speranza che i medici di base si affranchino dalla paura della responsabilità: la paura è il loro vero nemico.

Lettera firmata

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