Redarguita sul bus e i modi differenti di due controllori

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Scrivo questa lettera per descrivere un episodio che mi ha coinvolta personalmente ma che mi sembra significativo sul modo di intendere la propria funzione nel rapporto interpersonale che ognuno di noi ha nello svolgimento del proprio lavoro, più o meno stressante e frustrante che sia. Penso che possa servire per una riflessione comune. Questa è l’esatta, precisa sequenza dei fatti. Alla fermata, il giorno 1 agosto, davanti all’Ospedale di Gavardo della linea di autobus Gargnano-Brescia, sono la sola persona a salire sull’autobus delle 15:02 in direzione Brescia. Salgo dalla porta anteriore e inserisco regolarmente il biglietto nell’obliteratore, ma il conducente mi dice che non funziona. Di scrivere quindi io la data e l’ora sul biglietto. Mentre cerco dove sedermi vedo una signorina che si alza e si appresta a scendere alla fermata successiva, quella nella piazza, che dista circa 200-250 metri solamente e dove l’autobus si fermerà pochi secondi dopo la fermata dell’ospedale. Io prendo il posto della persona che si è alzata, cerco nella borsa la penna e inizio a scrivere. Nel frattempo, nel giro di pochi secondi, due giovani controllori, un uomo e una donna, salgono alla fermata della Piazza, e la donna, vedendomi con la penna in mano mi redarguisce a voce alta: «Un suo documento di identità!». Io ero appena riuscita a scrivere «1-8», cioè 1 agosto. «Lei deve scrivere subito! Bisogna scrivere appena ci si siede e non si inizia quando sale il controllore!». Sono allibita, anche dal tono che è meglio non definire! Spiego come sono andate le cose e il conducente lo conferma. La donna mi ordina di nuovo e ancora tre o quattro volte, di mostrarle un documento di identità perché mi deve applicare una sanzione. Mi rifiuto e le dico che a Brescia sarei scesa e lei poteva venire con me in Questura. Nel frattempo un terzo controllore, una signorina che era salita dalla porta posteriore si avvicina, chiede cosa stia succedendo e giudiziosamente e intelligentemente, dopo aver avuto conferma anche dal conducente della mia versione dei fatti, parla alla donna-controllore che poco prima mi aveva trattato in quel modo. (perché sono una donna di una certa età e quindi, definita debole e fragile?) La donna allora si siede e non pronuncia una sola parola. Tutti i controllori scendono poi ad una fermata successiva. Questi i fatti, senza commenti.

// Agnese Bettini
Brescia
Il racconto della signora Agnese ci insegna tre cose: la prima, che sarebbe bene scegliere in modo oculato a chi assegnare il potere (sì, il controllore ha l’onore e onere di un potere quando controlla se i passeggeri sono in regola con il documento di viaggio e dovrebbe farne tesoro); la seconda, che l’arroganza non ha divise: è un «morbo» che colpisce in ordine sparso; la terza, che ad un abuso va contrapposta una reazione ferma seppur educata e rispettosa delle persone, sempre e comunque, anche se sopra le righe. E c’è un quarto punto che val la pena registrare: l’antidoto si è manifestato in casa, con la presa di posizione di un altro controllore, evidentemente più equilibrata. Le responsabilità sono sempre personali, anche la maleducazione. Che diventa abuso se esercitata da chi, appunto, occupa in quel momento un ruolo di potere. Grazie signora Agnese per aver saputo e voluto evitare fin troppo facili generalizzazioni. Il discernimento è qualità preziosa. (n.v.)

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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