Quella «Balena Blu» che chiama in causa tutti noi adulti

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Caro Direttore, sono un allenatore del settore giovanile molto preoccupato per quanto riportato negli ultimi giorni dai media (in particolare dal servizio molto accurato della trasmissione televisiva «Le iene» di Italia 1, reperibile sul sito web della stessa) in merito al cosiddetto «Blue Whale Game», una tendenza pericolosa che sembrerebbe essere legata al suicidio di più di un centinaio di vittime giovanissime e che sta attirando l’attenzione di moltissimi ragazzi, anche in Italia (di pochi giorni fa il suicidio di un bambino di 11 anni a Livorno). Tale fenomeno si è diffuso inizialmente in Russia, ma nell’arco di un brevissimo arco di tempo sta contagiando ragazzi in ogni parte del mondo: si tratta di un’emergenza mondiale, una sorta di guerra immotivata contro bambini e adolescenti innocenti. Al di là della veridicità o meno di tante notizie sul web, la rete si sta riempiendo di articoli e materiali su questo pericoloso fenomeno e sono tanti i giovani in Italia che si stanno incuriosendo, ne stanno parlando, cercano informazioni su Internet e vengono a contatto con moltissime immagini e video su YouTube che trattano dell’argomento. Eppure tanti adulti, genitori e insegnanti, sono all’oscuro di tutto e non sanno che i ragazzi, anche molto giovani, possono venire a contatto in rete con questo tipo di pratiche molto pericolose. Il «Blue Whale Game», letteralmente «Gioco della Balena Azzurra», viene definito un horror-game a causa delle prove cruente e psicologicamente devastanti che vengono richieste ai partecipanti. Si chiama così perché fa riferimento al fatto che le balene blu a volte tendono a spiaggiarsi, quindi a morire, come se si uccidessero. Non bisogna farsi ingannare dal fatto che lo chiamano «gioco» perché di divertente non ha veramente niente, anzi i ragazzi rischiano di cadere vittime di un «effetto - contagio» e di essere manipolati, con conseguenze davvero devastanti. Ci troviamo a tutti gli effetti di fronte ad un’attività criminale organizzata perché in ogni caso il gioco si chiude con la morte del ragazzino. Il Blue Whale non è scaricabile con il download libero ma è necessario essere invitati a giocare, quindi, i «ragazzi bersaglio» vengono adescati tramite hashtag, gruppi chiusi e specifici link sui social media, dove vengono attratti nella rete e manipolati al fine di accettare il «gioco», che (lo ripeto) ha come epilogo la loro morte. Tra le prove (50 livelli successivi) viene chiesto alle giovani vittime di guardare film horror tutto il giorno, di svegliarsi ad orari improponibili del mattino e tagliarsi con lamette e coltelli per incidersi l’immagine di una balena o di altre scritte, come per esempio dei codici, direttamente sulla propria pelle. Tutto questo va ad intensificarsi nella parte finale del gioco, precisamente dal 30simo al 49simo giorno, in cui le vittime vengono portate all’estremo. Si tratta di manipolazioni mentali e di esercizi che vanno a creare quelle condizioni di stress psico-fisico che abbassano le difese e rendono le persone ancora più vulnerabili di quello che già sono, fino a che non viene chiesto loro, al termine dei 50 giorni, la prova finale per «vincere» che è quella di uccidersi saltando giù da un palazzo. Dai casi di cronaca, si evince che questi ragazzi prima di compiere il gesto estremo, lasciavano l’ultimo messaggio disperato nella vetrina dei vari social network. Sebbene non sia ancora stata dimostrata la relazione diretta tra i suicidi e il Blue Whale Game, almeno in Italia, sono tantissimi i bambini e ragazzi che hanno perso la vita con questo strumento. Ad esempio, per convincerli a partecipare viene detto loro che sono persone speciali, i cosiddetti «eletti» e che per loro esiste un mondo migliore. Purtroppo, quando si è ragazzi o bambini, si rischia di cadere più facilmente in queste trappole, di credere a certi messaggi e affidarsi alle mani sbagliate. Si cerca rifugio in rete, non ci si rende conto delle conseguenze drammatiche che può avere tutto ciò. Signor Direttore, personalmente non ce la faccio a «restare a guardare». Pertanto Le chiedo di dar spazio a questo messaggio; se ogni mio collega allenatore di squadre del Settore Giovanile parlerà ai ragazzi che gli vengono affidati dalle proprie Società, già da oggi, della pericolosità di tutto questo, potremo fare la nostra parte. O almeno potremo provarci.

// Bruno Omar Gatta
Tecnico settore Giovanile
Ha ragione: dobbiamo provarci. Anche noi, professionisti della comunicazione. Non solo onorando il dovere della cronaca, ma anche promuovendo responsabilità individuale e collettiva. Verso i giovani, che non sanno a cosa vanno incontro, ma anche verso gli adulti di riferimento, perché si assumano la responsabilità di «accendere» i loro cervelli. E per farlo bisogna essere non solo informati, ma anche formati. È con questo obiettivo che il GdB ha deciso di farsi promotore di incontri di riflessione e formazione rivolti a genitori, insegnanti ed educatori in genere. Proprio domani, in sala Libretti (dalle 18, in diretta streaming sul sito www.giornaledibrescia.it), si terrà la seconda conferenza di Pino Maiolo, psicoterapeuta e nostro editorialista, che affronterà proprio il tema della consapevolezza delle insidie del web. Un percorso in salita che non consente soste ma che vale comunque la pena di essere intrapreso. Chi non può parteciparvi può sempre accedere alla registrazione degli incontri, disponibili sul nostro sito. (n.v.)

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