Quel mondo ultras e l’aiuto dato durante il Covid

Lettere al direttore
Lettere al direttore
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Durante la pandemia sono stato uno dei volontari di quella bellissima esperienza di solidarietà spontanea che è stata «Cibo per tutti Carmine». Distribuivamo gratuitamente sorrisi, cibo, vestiti e tanto altro a chi ne aveva bisogno, coinvolgevamo nella distribuzione chi «riceveva» in modo che, diventando volontari, non ricevesse un’elemosina ma fosse partecipe di un progetto condiviso dove ognuno dava secondo le proprie possibilità e riceveva secondo i propri bisogni. Tra i tanti volontari e volontarie abbiamo avuto la fortuna d’incontrare delle persone definite dalla Questura «minoranza di individui tristemente noti alle Forze dell’Ordine». Il neo questore in quel periodo non era in città e probabilmente non sa che alcuni di loro ogni sabato alle 6 di mattina erano con me al mercato ortofrutticolo a caricare quintali di scarti che sarebbero andati al macero e che, con una lunga selezione manuale, ritornavano cibo buono per essere donato. Con tutte le telecamere sparse per il quartiere provi a vedere i video per tracciare i chilometri percorsi per consegnare a domicilio pacchi alimentari a chi non poteva venire a ritirarli nella sede delle Grazie. Monitorando i percorsi del camion dell’associazione potrà anche contare la quantità di mobili trasportati per la città e la provincia per aiutare chi doveva cambiar casa o arredamento. Il mondo Ultras mi ha sempre affascinato e impaurito perché a me sconosciuto. Da piccolo andavo al Rigamonti col mio babbo e spesso passavo più tempo a guardare quei «matti» che al ritmo dei tamburi trasformavano la curva in uno spettacolo nello spettacolo. Concludo con una lacrimuccia ricordando il mio babbo che mi portava in tribuna, ma nella zona nord per farmi godere lo spettacolo degli scalmanati (che bello quando tiravano la carta igienica come fossero stelle filanti, che ora sarebbe gesto da Daspo) e soprattutto pensando a quando da ragazzino, come staffetta delle Fiamme Verdi, portava sui monti chi, anche solo per un piccolo gesto, pensiero o espressione di dissenso, doveva scappare dalla repressione del regime e dei sui fedeli servitori.

Nicola Vitale

Caro Nicola, due sole note a margine, rispettando il suo pensiero, ma altresì ponendovi per amor di verità un contrappeso. La prima riguarda il suo babbo, le staffette delle Fiamme Verdi e chi ha il coraggio anche di un solo piccolo gesto di coraggio contro la repressione. Del regime però, non di una democrazia, che si distingue appunto per accettare il dissenso, purché sia nell’alveo delle regole che ci siamo dati in quello che si chiama uno «Stato di diritto». La seconda invece concerne proprio un «fedele servitore» di questo nostro Stato, il neo questore Sartori. In principio, non conoscendolo, ci siamo affidati pure noi alle voci e alle descrizioni di seconda mano, che lo dipingevano come uno «sceriffo». Poi gli abbiamo parlato, viso a viso, guardandolo negli occhi, ascoltando la sua storia e il suo pensiero, formandoci l’opinione di un «hombre vertical» ma comprensivo, ragionevole e soprattutto aperto al dialogo. Una sua frase ci ha colpito: «In tanti anni che faccio questo mestiere, mai una volta, mai, che abbia negato una manifestazione o una protesta, di qualsiasi tipo, purché ne fossi informato, come vuole la legge, concordando con i promotori tempi, modi e luogo». Prima di valutarlo nei fatti, che sono quelli che contano, crediamo che il neo questore come persona sarebbe piaciuto al nostro, d’un babbo. Il quale ad occhio e croce - da quello che lei ci ha raccontato - era simile al suo. (g. bar.)

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