«Quel giorno nella mia città» L’arte di Oscar

Lettere al direttore
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La strage di Piazza della Loggia segnò e segna profondamente la coscienza dei Bresciani. In questi giorni sono numerose le doverose iniziative per ricordare quel tragico evento. Io vorrei solo ricordare, anche se molto brevemente, come quel tragico giorno si impresse nell’animo di Oscar Di Prata (Brescia, 1910-2006) che aveva conosciuto la violenza della guerra nella Sirte nel corso del Secondo Conflitto Mondiale, una violenza, soleva dire, «che mi appariva senz’odio» tra uomini mandati a combattere tra le dune del deserto per vani sogni di gloria. «Non ci si conosceva e si era costretti a uccidersi» - diceva il Maestro. Sui disastri della guerra e sul volto scimmiesco del potere ebbe modo di riflettere per diversi anni durante la sua prigionia nel campo di Yol, alle pendici dell’Himalaya e, poi, successivamente tramite i suoi dipinti densi di richiami ed ammonimenti. Ancora più accentuata nella sua efferatezza fu quanto accadde a Brescia, testimonianza di una violenza ancora più terribile perché alimentata da un odio «tra fratelli», incomprensibile, inconcepibile. In quel giorno Oscar Di Prata mi raccontò, durante una delle nostre conversazioni, che pianse e disse una preghiera. E si chiese come fosse possibile che delle persone che avevano ricevuto un oceano d’amore materno avessero computo un gesto terribile e senza pentirsi. Le sue opere sul tema sono state vissute interiormente e sofferte con intensità espressiva rivelata anche da cromie che simboleggiano uno scatenarsi interiore di stati d’animo d’angoscia, di sgomento e di lancinante dolore. «Aspetti compositivi e cromatici che appartengono alla tensione di un periodo convulso e raccapricciante, che si è caratterizzato per una violenza scatenante che ancora una volta ha colpito, gli inermi, gli innocenti nel diagramma di un martirio che sembra non aver fine» - mi disse quando commentò una sua opera dal titolo «Quel giorno nella mia città».
Giovanni Quaresmini

Caro Giovanni,

della Strage di piazza Loggia ci occupiamo spesso in questi giorni e lo facciamo anche qui, prendendo spunto dalla sua lettera, senza timore di venire a noia.

Uno è infatti il tema che ci sta a cuore, quello della buona memoria, di non lasciare che la tigna dell’oblio faccia scordare ciò che accadde davvero, e mille sono i riflessi di luce da cui si può prendere spunto.

La sua nota ne mette in risalto due: l’artista, che con la sua maestria rappresenta la tensione di quel periodo, utilizzando gli «aspetti compositivi e cromatici» della propria pittura e l’uomo, l’essere umano con una sensibilità speciale, che è quella di ciascuno dotato di coscienza e che si pone di fronte alla tragedia dell’odio, allo sconcerto causato dalla violenza.

«Angoscia», «sgomento», «dolore»...

Sentimenti spontanei, non di facciata, che si provano senza sforzo, osservando ad esempio una fotografia.

Ce ne sono parecchie, riguardo quel 28 maggio del ’74, e molte sono esposte in città, in varie mostre.

Consigliamo di andare a vederne almeno una. Quei corpi dilaniati, quei volti stravolti, quella confusione di emozioni e di membra restituisce appieno le conseguenze della ferocia, ciò che essa comporta.

Non si tratta di ostentazione, bensì di realismo, di accettare l’orrore come tratto comune, patrimonio condiviso, base di rifiuto e ripartenza.

Per il resto rimane la semplicità dell’artista, con le sue lacrime e la sua preghiera. (g. bar.)

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