Quanta amarezza. Il giornale non è quello di un tempo

Lettere al direttore
Lettere al direttore
AA

Che squallore il commento alla lettera del 30 agosto. Dobbiamo tacere davanti a quel criminale d’Israele, al genocidio di un popolo, perché i palestinesi sono islamici? Anche l’Italia continua a rifornire Netanyahu di sostegno militare e finanziario. Quante sanzioni contro Putin? Diciassette? Diciotto? Contro il governo di ultradestra di Tel Aviv: nessuna sanzione. Quanti ne dovranno morire ancora? Il vostro atteggiamento è «gesuitico», parliamo di pace! Ma che vuol dire, lasciandoli morire di fame... Non rimangono che macerie, massacrano ogni giorno quei poveri disperati privi di cibo, acqua, medicinali, casa. Vi scrivo questa mia, anche se non la pubblicherete. Non è più il giornale di un tempo: lasciate stare la crisi dell’editoria, la conoscono tutti quanti. Il GdB da sempre è il quotidiano dei preti e degli Alpini, per lo sdegno della statuetta del presepe «sparita» trascura notizie ben più gravi.

Esseti
Vecchio lettore ultra-deluso

Carissimo, se ci avesse scritto via mail le avremmo risposto anche personalmente, all’istante. Avendoci invece inviato un foglio scritto a mano, per posta, lo facciamo qua. Tutti i lettori infatti abbiamo a cuore; quelli «vecchi» e «ultra-delusi» ancora di più. Due le questioni che solleva. La prima riguarda la tragedia in Medio Oriente e una guerra straziante. Da qui è facile lanciare strali e sbraitare, cavalcando l’onda dello sdegno. Confessiamo che, essendo umani, ci verrebbe naturale. E se servisse davvero a qualcosa daremmo briglia sciolta, imprecando e maledicendo un giorno sì e l’altro pure, anche perché chi affama o ammazza i bambini ha torto, sempre, senza giustificazione. Guardiamoci negli occhi, però, e diciamoci la verità: placherebbe la nostra coscienza, senza contribuire di una virgola a migliorare le cose. Ecco perché ci limitiamo a una parola: «pace». Intesa non come semplice assenza di guerra (se la intendessimo così, ha dichiarato ieri l’altro il cardinal Semeraro al Corriere, dovremmo ripetere ciò che i Caledoni dissero ai Romani: «Fanno il deserto, lo chiamano pace»), bensì condizione interiore, opera da costruire, bussola per ogni scelta, attitudine nelle relazioni, a cominciare da chi abbiamo accanto, collega di lavoro, vicino di casa, famigliare... Se la pace non riusciamo a trovarla qui, comodamente seduti nelle nostre case, come possono farla coloro che da secoli si combattono spietatamente? Questa posizione potrà sembrarle «gesuitica». Per noi è l’unico modo di trovare coerenza tra fatti e parole, per essere credibili innanzitutto a noi stessi, quando ci guardiamo allo specchio, da soli. E da qui partiamo anche per risponderle alla seconda obiezione, quella di non essere più «il giornale di un tempo». È vero. Non lo siamo. Non lo possiamo essere, perché i tempi cambiano ed evolversi è condizione di chi vuole restare vivo e non morire. Ciò che conta è che identico rimanga il cuore, il Dna di un quotidiano locale con sguardo sul mondo, che riporta di Alpini, di preti e di statuine del presepe, ma altresì di tutto il resto, offrendo spunti di riflessione e commenti che possono anche non piacere, contribuendo tuttavia a formare spirito critico e giudizio indipendente. Un giornale libero, soprattutto. Che non vuol dire pubblicare ciò che passa per la testa, senza filtro: libertà pretende sempre responsabilità. Mai però «trascuriamo» le notizie. E se posta con riguardo e buona fede, ogni opinione vi trova spazio, come dimostra questa nutrita pagina delle lettere, nella quale parole taglienti quali le sue non sono soltanto accettate, ma benvenute. Al pari di ciascuno di noi, pure il giornale ha mille difetti. Ogni giorno però tentiamo di farlo a immagine di come cerchiamo di essere noi: con una sola faccia e non una maschera per ogni occasione. (g. bar.)

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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