Quando la lettera degli insegnanti fa... imbestialire

Lettere al direttore
Lettere al direttore
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Sono la mamma di una bambina che ha appena concluso la scuola primaria a Iseo. Con la presente vorrei segnalare la lettera che è stata consegnata ai bambini di quinta come «diploma» e che è stata letta da una maestra l’ultimo giorno di scuola davanti agli alunni di tutte le classi.

Nessun bambino merita un saluto del genere e certe parole non sono in alcun modo giustificabili. Per tutta la lettera si fa riferimento ai difetti dei bambini e se una maestra li paragona ad animali quali cani, iene, scimmie, bisonti, bradipi e lumache o, peggio ancora, dice che loro maestre in futuro «vorrebbero essere presenti quando si meriteranno un pugno in testa, vale a dire almeno una volta al giorno» la dice lunga su come certe insegnanti svolgano il loro lavoro. Il fatto che al termine della lettera poi venga augurato ai bambini «il meglio» non cancella assolutamente la gravità delle parole utilizzate nei loro confronti. Voglio pensare, e sperare, che la nostra esperienza sia un caso isolato rispetto ad altri istituti. Si sente spesso parlare di patto educativo tra la scuola e la famiglia, ma questo patto deve essere rispettato da entrambe le parti. Ogni giorno, di fronte a casi di cronaca più o meno gravi, si dice che spesso la colpa è delle famiglie assenti, dei genitori troppo permissivi o distratti... È vero, senza alcun dubbio, ma la scuola dov’è? È questo l’esempio che viene dato ai nostri bambini? Con un saluto aggressivo e così fortemente diseducativo? Sarebbe bene che le insegnanti a cui affidiamo i nostri figli comprendano l’importanza e la delicatezza del loro ruolo nella crescita dei bambini e comincino a lavorare in modo da essere all’altezza di questo compito e di esempio sull’importanza dei modi con i quali ci si relaziona con gli altri, mantenendo intatta e rispettata l’identità dell’interlocutore, chiunque esso sia. Altrimenti è certo che da questa emergenza educativa non ne usciremo mai.

Cristina Battaglini

Cara Cristina, è una questione di sensibilità e, come tale, muta, cambia, si affievolisce o si esaspera a seconda del tempo e delle situazioni. Evitiamo in questa sede la pubblicazione della lettera consegnata ai ragazzi (la trovate qui sopra, nel pdf in allegato), poiché non ci interessa istruire un processo, bensì darle il nostro parere. In onestà. Cominciamo dunque con il riconoscere che lei ha delle ragioni: fare riferimento agli animali stride (anche se a delle bestie si paragonano i maestri stessi) e alcune espressioni sono proprio fuori luogo («un pugno in testa» si poteva ritenere «meritevole» ai tempi di Dickens, ora è orribile anche soltanto pensarlo). Al contempo però vorremmo invitarla a non giudicare duramente quegli insegnanti, offrendole un punto di vista terzo, con una distanza che non è ovviamente la sua, coinvolta nel profondo. Perciò diciamo che leggendo tutta la lettera ne comprendiamo altresì lo spirito positivo, il lagnarsi sì delle fatiche fatte, ma pure il ringraziamento per quanto dai ragazzi ricevuto e lo sprone ad affrontare la vita vento in poppa. Per concludere, prendiamo a prestito un passaggio di quella lettera: «Ciò che distingue l’uomo dalla macchina è proprio nella capacità di ragionare, anche nell’errore». Non sia troppo severa nel giudizio, allora, e valuti della lettera aperta anche il buono, non soltanto il gramo. Compresa la frase forse più bella, rivolta nel finale ad alunni ed alunne: «La vostra vita è come l’arcobaleno, i suoi colori sono pronti a riflettersi sui vostri teneri volti (...) Non abbiate paura! Noi saremo qui quando vorrete tornare a trovarci». (g. bar.)

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