Punizioni a scuola, dalla verga al tutto va bene
Leggo sul suo quotidiano del processo a carico di una maestra che, a quanto sostiene l'accusa, ha adottato metodi maneschi pur di fare apprendere ai suoi scolari la lingua di Dante.
Non voglio entrare in una polemica in cui verrei sommerso dalle grida dei «moderni» genitori che, a mio avviso, proteggono i figli più del dovuto. A scanso di equivoci li tranquillizzo affermando di non avere mai alzato la mano su nessuno, tanto meno sui miei figli. Appartengo però ad una generazione in cui le mamme, conoscendo i metodi rudi dell'insegnante, affermavano «quando la maestra picchia è segno che vuol bene».
Molti dei miei coetanei ricordano che non riferivano ai genitori le intemperanze non solo verbali della maestra perché avrebbero sentito la mano del padre che era assai pesante: erano tempi in cui l'operato e l'onore della maestra, o meglio della «Signora maestra» non venivano mai messi in discussione. Anch'io, bambino timido, pulcino nella stoppa, non ero sfuggito alle punizioni; ricordo che la maestra della seconda elementare puniva gli alunni utilizzando una riga (dalla parte della costa) che batteva sulle dita delle loro mani da appoggiarsi ben distese sul bordo della cattedra non prima di aver avvertito che se per istinto le avessero sottratte la punizione sarebbe stata raddoppiata.
La terza elementare da me frequentata nel paese natale per sfuggire ai bombardamenti, era retta da una maestra più severa della precedente; costei oltre la classica riga aveva accanto a sé una verga (la stropa) e due canne di bambù assai nodose di diversa lunghezza che le permettevano, stando in cattedra, di colpire tra tante zucche, quella dell'alunno più riottoso e più distante.
Quaranta alunni da domare, di cui metà ripetenti, nessuna insegnante di sostegno e, mancando la bidella, i maschietti accudivano la stufa «Becchi» a legna mentre le bambine al termine delle lezioni pulivano i banchi e scopavano l'aula; nessuno parlava allora di sfruttamento minorile.
Eppure in aule mal arredate, prive di sussidiari, l'insegnamento era buono tanto che a distanza di 70 anni agli ex alunni piace ricordare che la «loro» era una brava maestra. Forse è la nostalgia, ma ogni volta che alle sagre del paese incontro i vecchi compagni di scuola, il pensiero corre di frequente alla vecchia maestra che aveva, è vero, metodi militareschi, ma in compenso aveva dell'insegnamento un culto vissuto come missione, ma, quanto alla punizione, era un modo per temprare gli alunni sapendo che la vita non sarebbe stata per loro tenera. A tal proposito a qualche vecchio alunno al termine dei ricordi piace aggiungere «peccato, avrebbe dovuto darcene di più». Mia nonna, mia zia e mia moglie hanno insegnato per molti anni adottando metodi pedagogici e didattici diversi che col passare degli anni hanno subito una lenta positiva evoluzione che forse ha superato il limite se alla maestra non è permesso sfiorare l'alunno neppure con un petalo di rosa. Cari genitori amanti della protesta vi assicuro che non mi sento affatto frustrato per avere subito la classica tirata di capelli con l'aggiunta, tanto per ristabilire l'equilibrio, di un benevolo scappellotto.
Luigi Agostini
Concesio
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