Pubblico o privato? La nostra salute viene prima di tutto

Lettere al direttore
Lettere al direttore
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Ritengo sconcertanti i due articoli comparsi sul vostro giornale in data 21 maggio con titolo «Medicina d’urgenza: da BresciaMed 30 accessi al giorno» e «Ecografie a casa a pagamento: il nuovo servizio». Vorrei che qualcuno mi spiegasse cosa può esserci di rallegrante nel fatto che si debba ricorrere a sistemi a pagamento per ricevere cure mediche che, in Italia, tutti dovremmo avere di diritto (ricordo che non stiamo parlando di interventi «capriccio»!). Non c’è nulla di buono in questo; non mi sento di poter essere contenta o di dovere dire grazie laddove viene calpestato il diritto di tutti, in primis i meno abbienti: avere un sistema sanitario pubblico che si prenda cura con modalità e tempi decenti nel rispetto dei malati, dei loro familiari e del personale sanitario e parasanitario. Scusate la franchezza, ma con questi articoli sembra quasi si voglia avvallare l’idea che: «Paghi, ricevi le cure»... Eppure io, come tanti altri, il contributo per avere le cure lo do rispettando la legge che mi chiede di versare regolarmente le tasse e il ticket! Per favore, non alimentate e non invitateci a sostenere la deriva che ci sta portando verso una sanità per ricchi.
Cecilia

Cara Cecilia,

noi apprezziamo la sua franchezza, scusi anche lei la nostra: se la realtà dei fatti non le garba, non può prendersela con chi quella realtà la racconta.

Riportare i fatti non significa condividerli o, ancor meno, promuoverli.

Specialmente in un settore, qual è quello della sanità, che interessa tutti da vicino e che dovrebbe vedere i cittadini impegnati a remare dalla stessa parte. Che per quanto ci riguarda sarebbe questa: i privati possono offrire prestazioni, ma è il pubblico a dover dettare le regole e a stabilire gli standard, anche rappresentando in proprio un’eccellenza e non diventando marginale.

Su questo, che il nostro giornale faccia insieme da sentinella e da pungolo lo dimostra anche l’articolo principale in pagina dedicato ai nuovi presidi territoriali, le così dette «Case di comunità». E ancor più il commento puntuale e assai critico sul sistema attuale che, quello stesso giorno, vi abbiamo voluto affiancare, a firma Claudio Baroni.

Ripartiamo insieme da qui allora, cara Cecilia, non commettendo l’errore dei polli di Renzo, che si beccavano tra loro mentre venivano portati dall’Azzeccagarbugli. Il problema non è dare notizia di nuovi servizi a disposizione di chi ha i soldi, bensì i quattro milioni e mezzo di nostri connazionali che, secondo l’Istat, avrebbero già rinunciato a curarsi. Quello sì, un dramma. (g. bar.)

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