Prostituzione nelle strade, soluzioni inefficaci

AA

A scadenze regolari i mass-media affrontano giustamente il tema prostituzione con ampi dibattiti, informazioni, statistiche, provvedimenti delle singole amministrazioni, tra cui ordinanze con trovate assurde come le contravvenzioni ai clienti automobilisti per eliminare il problema, oppure iniziative di gruppi di volontari di associazioni cattoliche per tentare di convincere le prostitute di strada a cambiare lavoro o almeno a denunciare i loro sfruttatori. Molte di queste pratiche sono lodevoli ma purtroppo inefficaci per togliere dalle strade le prostitute. Evidentemente il problema, che si sta aggravando sempre più, va risolto anche alla faccia di chi sostiene che quanti propongono soluzioni alternative, di destra o di sinistra, in realtà non vogliono scontrarsi con l’istituzione cattolica. Sono anni quindi che viviamo in un colpevole silenzio e con una totale immobilità da parte delle forze politiche e delle istituzioni. Sono trascorsi quasi 60 anni da quel 20 settembre 1958, data di chiusura delle 800 case di tolleranza esistenti in Italia, quando la legge Merlin segnò una tappa fondamentale per il progresso civile e sociale del nostro Paese, liberando tante donne da un mercimonio sessuale gestito addirittura dallo Stato. Oggi però, dopo decenni di indifferenza, si devono studiare delle proposte di revisione di quella legge, validissima per quegli anni ma non più attuale e, visto che questo Parlamento si sta dimostrando sensibile ai diritti civili, si faccia carico anche di questo annoso problema, rivedendo magari e unificando varie proposte di legge già presentate, come la «riapertura di centri del sesso» in zone defilate dai centri, sotto il controllo comunale. Certo non è cosa facile, come tutte le disposizioni legislative che dovrebbero disciplinare materie su cui gravano enormi interessi ed in cui le mani delle piccole o grandi mafie si intrufolano a tutto spiano. In pratica si tratta di favorire la «territorializzazione» del fenomeno, circoscrivendolo in «aree protette» o in «quartieri a luci rosse», oppure proponendo la «legalizzazione in cooperative» di queste signore, attraverso organizzazioni autogestite. In genere la Chiesa si mette di traverso quando si pone sul tavolo questo problema, ma qui non si tratta solo si redimere delle ragazze sventurate, ma di elaborare dei disegni utili ad arginare il fenomeno pubblico sotto gli occhi di tutti. È una realtà divenuta esplosiva, dentro la quale va combattuto soprattutto lo sfruttamento da parte del crimine organizzato, con la volontà di consentire alle «signore del sesso» una gestione autonoma del proprio corpo e del «mestiere più antico del mondo». Tutto deve essere in prospettiva di una «riduzione del danno», e cioè della tutela della salute pubblica, come fa il fronte antiproibizionista in materia di lotta alla droga. La Legge Merlin, più che abolita, va riveduta e corretta, ad esempio depenalizzando quella forma di favoreggiamento che impedisce alle prostitute di autogestire la propria attività in luoghi aperti al pubblico. Quella che si deve combattere prima di tutto è la tratta internazionale delle «schiave clandestine» dai Paesi dell’Est e dal Centrafrica ed ogni forma di sfruttamento e di violenza, partendo da posizioni chiare sugli obiettivi da raggiungere, perseguendoli senza falsi moralismi ed ipocrisie. Senza tornare dunque al passato col riaprire le case di tolleranza statali, sapendo comunque che è impossibile abolire la prostituzione. Si potrebbe in definitiva ispirarsi alle soluzioni adottate in Svezia e in Lituania, che prevedono la perseguibilità del cliente per un reato equiparabile allo stupro, se effettuato al di fuori delle zone controllate, favorendo l’autogestione delle prostitute in luoghi chiusi idonei, senza colpirle minimamente per il loro lavoro. Controlli sanitari, fiscali ed identitari farebbero il resto. È chiaro che la posta in gioco è altissima in uno squallido ambiente, dove però lo squallore, sia esso di miseria o di lusso, rimane sempre nella mente di ogni individuo.

// Luigi Andoni
Manerbio

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato