PROFESSIONE MEDICO/1

Lettere al direttore
Lettere al direttore
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Nel dibattito del numero chiuso a Medicina mi colpisce la questione che debba esserci per forza una programmazione sui fabbisogni dei medici in Italia. Se fosse vero che si debba programmare una professione, alla faccia del libero insegnamento e del diritto allo studio, mi chiedo: deve essere solo sulla base dell’occupazione in Italia? Mi spiego meglio. Se proprio ci dovesse essere la programmazione sui fabbisogno di medici dovrebbe essere fatta sulla base non solo dei fabbisogni italiani ma anche dal fabbisogno del numero medio annuo di medici italiani che decidono di esercitare all’estero, visto che non si può, giustamente, incatenarli al proprio Paese. In un mondo globalizzato questa professione, eccellente per l’Italia e per il resto del mondo, deve poter essere esportata e di divenire scuola. Se noi formiamo medici solo per il fabbisogno italiano rischiamo di non averne a sufficienza per noi (perché risucchiati dalla globalizzazione) e soprattutto non esportiamo il nostro Made in Italy più qualificante: la medicina.
Giovanni Garzella
Un sanitario italiano

Gentile lettore, quando nel 1987 (ma il decreto divenne legge nel 1999) si decise di restringere l’accesso a Medicina che dal 1969 era aperto a tutti i diplomati, il numero chiuso aveva lo scopo di evitare il sovraffollamento di studenti nelle facoltà, il che da un lato non consentiva un’adeguata formazione per una professione particolarmente «delicata», e dall’altro creava una schiera di medici all’apparenza esorbitante rispetto a quella dei pazienti. Una non adeguata capacità di previsione e programmazione ha oggi portato l’Italia a registrare una carenza di medici, mai così evidente come con l’emergenza Covid. A questo si aggiungono il pensionamento di un esercito di medici di base (figli del boom demografico post-bellico) e la significativa «fuga» di molti all’estero. Ora prima di preoccuparci dell’«export» di medici «made in Italy», credo sia il caso da una parte di rivedere numeri e modalità di ammissione a Medicina e dall’altra di rimotivare i nostri laureati a lavorare per un Sistema sanitario nazionale, un tempo fiore all’occhiello a livello mondiale ma oggi evidentemente meno attraente per chi vuole esercitare la professione. Una questione che richiede investimenti economici adeguati in una sanità che invece negli ultimi anni ha conosciuto soltanto tagli. Tutto ciò anche per sciogliere un altro nodo cruciale: quello di disporre di medici con specializzazioni essenziali ma in apparenza meno remunerative di altre, quali ad esempio la medicina d’emergenza e di base.

(g.c.)

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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