Prendersi più cura degli infermieri neolaureati

Lettere al direttore
AA
Sono un’infermiera delusa e amareggiata. Non per me anche se mi sono dovuta licenziare anticipatamente per problemi di salute e familiari, ma per i giovani infermieri schiavi delle cooperative. Non avrei mai immaginato di vedere come vengono annichilite e trattate queste ragazze appena laureate, con tanti sogni e voglia di imparare. Sbattute letteralmente di volta in volta in ospedali diversi, sempre senza il minimo affiancamento, turni spesso comunicati il giorno prima senza la minima attenzione alla persona. È questo che si voleva ottenere con la laurea infermieristica? Fare di una nuova generazione di professionisti preparati e veramente motivati dei ragazzi e ragazze frustrati e confusi, sfruttati e senza futuro? Colloqui demenziali in cui si chiede di tutto tranne che la preparazione. Mi vergogno profondamente di chi ci rappresenta e, vi assicuro, esprimo il pensiero di tantissimi colleghi. Lasciamo perdere poi la situazione di chi lavora da anni, si conoscono benissimo le condizioni ormai insostenibili del comparto infermieristico. E tutto questo fino alla veneranda età di 67 anni, una bazzecola. Sappiate che lo scontento sta superando la semplice amarezza. I nostri figli non meritano questa superficialità e abbandono. Chi ha il potere ha il dovere di fare qualcosa. Se oggi i giovani non scelgono questa professione è perché nemmeno riescono ad iniziare in maniera dignitosa a lavorare, è diventato conveniente e comodo lasciarli schiavi delle cooperative per anni.
Milva Boniotti
Un’infermiera che ha amato e ama il suo lavoro, quindi... nessuno
Gentile lettrice, ci sono diversi motivi per cui pubblichiamo questo appassionato sfogo-appello. La criticità sottolineata da una persona che opera (o ha operato) nel nostro sistema sanitario, merita comunque di esser presa in considerazione: senza allarmismi ma anche senza sottovalutazioni. Piuttosto, va verificata ai vari livelli per capire l’effettiva consistenza ed estensione del disagio segnalato. Perché, da un lato, stiamo parlando delle persone che in concreto ci sono (o ci saranno) accanto nel momento in cui ricorriamo a cure ospedaliere, e dall’altro perché non possiamo permetterci che l’eventuale disagio vissuto dal personale sanitario si trasformi in un ulteriore «incentivo» per esodi dalle nostre strutture già sotto stress. Magari in direzione di lidi stranieri, dove la considerazione in cui è tenuto il lavoro infermieristico si traduce anche in retribuzioni, diciamo, più interessanti. (g.c.)
Milva Boniotti
Un’infermiera che ha amato e ama il suo lavoro, quindi... nessuno
Gentile lettrice, ci sono diversi motivi per cui pubblichiamo questo appassionato sfogo-appello. La criticità sottolineata da una persona che opera (o ha operato) nel nostro sistema sanitario, merita comunque di esser presa in considerazione: senza allarmismi ma anche senza sottovalutazioni. Piuttosto, va verificata ai vari livelli per capire l’effettiva consistenza ed estensione del disagio segnalato. Perché, da un lato, stiamo parlando delle persone che in concreto ci sono (o ci saranno) accanto nel momento in cui ricorriamo a cure ospedaliere, e dall’altro perché non possiamo permetterci che l’eventuale disagio vissuto dal personale sanitario si trasformi in un ulteriore «incentivo» per esodi dalle nostre strutture già sotto stress. Magari in direzione di lidi stranieri, dove la considerazione in cui è tenuto il lavoro infermieristico si traduce anche in retribuzioni, diciamo, più interessanti. (g.c.)
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato