Politica: serve umiltà, quale virtù dei forti
Le tempestose vicende della politica italiana vissute negli ultimi mesi non solo suscitano nei cittadini non poche preoccupazioni per il futuro del nostro Paese, ma offrono altresì motivi di riflessione sui comportamenti di taluni attori delle istituzioni governative soprattutto in riferimento all'obiettivo del «bene comune» inteso a vantaggio di tutta la popolazione e non già delle solite classi privilegiate. Nella fase acuta di una crisi istituzionale ed etica prima ancora che socio-economica, che richiede decisioni coraggiose e forti, sembra necessario che i protagonisti della politica, con il massimo rispetto reciproco, facciano appello alle migliori virtù morali anziché ricorrere agli insulti, alle maldicenze e ai gossip. Anche in politica come in ogni altra attività è necessario saper affrontare i problemi con competenza, con ponderazione, con entusiasmo, con saggezza, ma anche con una certa dose di umiltà. Il che non vuole dire debolezza né poca sicurezza delle proprie capacità e convinzioni né segno di rinuncia a difendere i propri principi. Al contrario secondo la definizione del vocabolario (Zingarelli, De Mauro ecc.) umiltà significa coscienza dei propri limiti che induce l'uomo ad abbassarsi volontariamente reprimendo nel suo intimo ogni moto di orgoglio (Zingarelli). Se l'umiltà è intesa come un modo di essere del soggetto debole, incapace e succube, allora si corre il rischio di pensare che l'umiltà non si addica a coloro che sono chiamati a svolgere una qualsiasi governance pubblica o privata dando adito a devianze verso l'arroganza, la boria, la prosopopea che sono anticamera del «delirio del potere». Al contrario l'umiltà intesa come sopra indicato può generare anche consapevolezza di una gratitudine sociale per essere nelle condizioni di operare per il «benessere comune». Nella storia recente sono degni di memoria alcuni significativi atti di pubblica umiltà che hanno contrassegnato importanti eventi della vita italiana. Ne ricordo soltanto alcuni. Il 10 agosto 1946 alla Conferenza di pace a Parigi l'on. Alcide De Gasperi a nome della Repubblica Italiana compiva un atto di grande umiltà esordendo con queste parole «... sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me e soprattutto la mia qualifica di ex nemico che mi fa considerare come imputato...». È cronaca recente la dichiarazione di pubblica ammenda pronunciata da Papa Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI per gli errori e le nefandezze compiuti nel corso della storia dalla Chiesa Cattolica. Negli ultimi anni di vita Papa Wojtyla ha affrontato con ammirevole rassegnazione il lungo e tormentato cammino della malattia e della umiliante sofferenza mostrando a tutti gli uomini il valore dell'umiltà che fa grande chi la considera e la vive come una virtù, vera forza dei Santi. Né si può sottacere l'esempio di profonda consapevolezza e responsabilità manifestate dall'on. Giulio Andreotti durante il lungo ed umiliante iter giudiziario subìto ad opera di cosiddetti «pentiti» della mafia siciliana. Sembra che nel nostro Paese si sia persa la «matrice» di politici dotati di questa caratura morale, capaci cioè di controllare il proprio orgoglio e di affrontare con umiltà associata a tenace fermezza di animo e di pensiero i veri problemi dei cittadini, al di sopra di alchimie di parte, avendo come obiettivo privilegiato una particolare attenzione alle classi più deboli e al futuro dei giovani. In tempi di crisi la comunità non ha bisogno di avventurieri, di forbiti affabulatori e tanto meno di furbi calcolatori elettorali, ma di capitani coraggiosi con un esemplare curriculum vitae e con alcune idee chiare, che sappiano riconoscere gli eventuali errori commessi e porsi al servizio della popolazione. Così intesa l'umiltà può essere annoverata fra le virtù dei forti.
Mario Zorzi
Brescia
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato