Piccole difformità o abusi eclatanti Una differenza c’è

Lettere al direttore
AA
Recentemente in un convegno a Milano il ministro delle Infrastrutture ha rilanciato l’idea di una proposta di pace edilizia, ma che sarebbe limitata alle difformità interne delle abitazioni. In altri termini si tratterebbe di legalizzare tutte quelle piccole differenze rispetto alle piantine catastali, a volte di pochi centimetri, che spesso emergono dagli atti notarili quando si deve vendere o comprare un immobile. Non si tratterebbe, quindi, di una sanatoria generalizzata. Non ci sarà nessuna possibilità, a quanto trapela, di sanatoria per abusi compiuti su terreni soggetti a dissesto idrogeologico, o con vincoli ambientali, paesaggistici e culturali. Una «operazione verità» o semplice propaganda elettorale? Quanto fin qua annunciato è solo «pannicello caldo», perché già la normativa attuale permette di sanare gli abusi minori con sanzioni minime. Il patrimonio edilizio italiano è un «malato grave», ossia è gravato di moltissimi illeciti/abusi edilizi. Abusi edilizi che variano da fabbricato a fabbricato, come per esempio: la modifica della sagoma con o senza aumento di superficie e di volume; le sopraelevazioni; le minori distanze da fabbricati; i cambi di destinazioni d’uso... La sanatoria, comunque, dovrebbe essere vietata per i nuovi edifici. Solo con la regolarizzazione, anche in zone di vincolo paesaggistico previo parere vincolante delle Soprintendenze, di questi abusi si permetterebbe ai Comuni italiani di incassare soldi e ai cittadini di risolvere i loro problemi. Inoltre, per i Comuni, con l’emersione dell’abusivismo aumenterebbero le entrate dell’Imu e della tassa rifiuti. Tutto il resto è «aria fritta», come curare un malato terminale con l’aspirina.
Andrea Savoia
Caro Andrea,
in poche righe lei apre un vaso di Pandora, scatenando sentimenti contrastanti e alzate di scudi tali da rendere impossibile l’unica condizione necessaria e sufficiente: una disposizione d’animo serena, una discussione pacata e ragionevole.
Da che mondo è mondo, anzi, da che Italia è Italia è sempre così: l’edilizia divide e scalda gli animi, tanto che trovare un punto d’equilibrio è praticamente impossibile, avendo da una parte chi grida allo scandalo per una difformità di pochi centimetri e dall’altra chi ignora bellamente regole e buon senso, coprendo di cemento ovunque.
Nel mezzo stiamo noi, che non vogliamo demonizzare e nemmeno passare per ingenui in un mondo di furbi.
Ecco perché, in linea di principio, vorremmo che neanche si accennasse alla possibilità di condonare abusi eclatanti, mentre siamo per «sanare» le discrepanze irrilevanti sul piano sostanziale. Non tanto per fare nuova cassa a Comuni ed enti affini, bensì perché nessun cittadino abbia l’impressione che l’onesto in buona fede si senta un delinquente, mentre il furbo di tre cotte agisca in barba alla legge, ottenendo sempre ciò che vuole. (g.bar.)
Andrea Savoia
Caro Andrea,
in poche righe lei apre un vaso di Pandora, scatenando sentimenti contrastanti e alzate di scudi tali da rendere impossibile l’unica condizione necessaria e sufficiente: una disposizione d’animo serena, una discussione pacata e ragionevole.
Da che mondo è mondo, anzi, da che Italia è Italia è sempre così: l’edilizia divide e scalda gli animi, tanto che trovare un punto d’equilibrio è praticamente impossibile, avendo da una parte chi grida allo scandalo per una difformità di pochi centimetri e dall’altra chi ignora bellamente regole e buon senso, coprendo di cemento ovunque.
Nel mezzo stiamo noi, che non vogliamo demonizzare e nemmeno passare per ingenui in un mondo di furbi.
Ecco perché, in linea di principio, vorremmo che neanche si accennasse alla possibilità di condonare abusi eclatanti, mentre siamo per «sanare» le discrepanze irrilevanti sul piano sostanziale. Non tanto per fare nuova cassa a Comuni ed enti affini, bensì perché nessun cittadino abbia l’impressione che l’onesto in buona fede si senta un delinquente, mentre il furbo di tre cotte agisca in barba alla legge, ottenendo sempre ciò che vuole. (g.bar.)
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
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