Piatti tradizionali e gourmet: giusto premiare l’Italia

«Le lingue le creano i poveri e i ricchi le cristallizzano per sfottere chi non parla come loro». Così don Milani e i ragazzi di Barbiana in Lettera a una professoressa (pagina 19 e 20). Penso si adatti perfettamente ai cibi: i piatti della cucina tradizionale nascono dai poveri e dunque dal popolo. Oggi i ricchi li rivisitano atteggiandosi a raffinati gourmet. Ovviamente compatiscono con malcelato disprezzo chi non può permettersi di spendere 150 euro a testa vini esclusi in ristoranti glorificati. Faccio parte del fu ceto medio e vi assicuro che spendere 750 euro in sei per il pranzo dei miei settant’anni mi ha fatto pensare a chi con quei soldi deve camparci un mese. L’Unesco ha premiato la fantastica varietà dei nostri piatti tradizionali, non i santuari pieni di stelle, forchette, cappelli e bicchieri a volte di dubbia assegnazione. Ci sono tre perle della cucina italiana con nomi amati in tutto il mondo, non tradotte: pizza, spaghetti e lasagne. I turisti stranieri sono attratti da quelli che erano i piatti della domenica e delle Feste per contadini e artigiani. Per i ricchi è sempre stata festa tutti i giorni. Sono i nostri vini, i formaggi, i salumi, la pasta non chef (o presunti tali) i veri ambasciatori della cucina italiana. Nel suo libro su Cesare, Alberto Angela scrive che quello fra romani e popoli germanici è stato uno scontro fra la civiltà latina dell’olio e del vino e quella transalpina del burro e della birra. Oggi è fra il modello Usa del fast food e quelli (e sono una miriade) del resto del mondo. Vale anche per l’architettura, l’abbigliamento, la cultura in tutte le sue forme. Penso ci sia molta carne al fuoco... Giusto per stare in tema. P.S. Ravioli e cappone ripieno? Sicuramente panettone non pandoro. Io faccio il Bossolà bresciano, col panettone classico nel caso...
Danilo RavariniCaro Danilo, innanzi tutto una casualità: è la seconda volta, in due giorni, che viene citato don Milani, pur se per un differente motivo. Ne siamo lieti. Nel suo caso il riferimento è alla lingua, ma riadattato opportunamente al cibo: considerati i giorni che ci attendono, non è un tema fuori luogo. Il modello degli Stati Uniti, se ci è concesso, oltre che «fast», è anche «junk». Tradotto: alimenti industriali ad alto contenuto calorico (zuccheri, grassi, sale) e basso valore nutrizionale. Di regola mangiano di più e peggio, da insegnare al resto del mondo sul mangiare hanno poco. Dell’Italia invece, al netto dello sciovinismo, risalta soprattutto la varietà, con specialità regionali che si mischiano. Il resto è questione di gusti, più che di portafoglio. Se ci è richiesto un parere, per noi il piacere del Natale consiste nella convivialità: il piacere dello stare seduti attorno a un tavolo, con cucina casalinga, in cui ciascuno contribuisce preparando un piatto. Gradito sia il panettone, sia il pandoro, anche se il re incontrastato, almeno per quel giorno, per gusto personale, è l’antipasto. Gli antipasti, anzi, al plurale. Tanti e vari. Buon appetito. (g. bar.)
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