Padri separati. Un’ingiustizia che grida vendetta

Troppo spesso non viene posta la giusta attenzione su uno dei problemi che sempre più di frequente colpisce la società moderna. Mi riferisco al disagio subìto dai papà separati che nella maggior parte delle volte sono vittime di un sistema che forse sarebbe da rivedere. In tanti casi si arriva alla separazione per complicazioni non riconducibili al comportamento del marito, ma piuttosto legati a comportamenti poco corretti della moglie. In percentuali altissime la sentenza stabilisce che la moglie «vinca tutto» e che si prenda ogni cosa: casa, soldi e figli. L’ordine con cui ho elencato ciò che le è stato dato e la parola «cose» non sono dette a caso in quanto la minaccia costante era un «ti rovino, mi mantieni a vita», ecc. I figli sono l’ultima delle tre cose che vogliono ottenere e anche loro diventano una cosa, il «mezzo» per assicurarsi una sicurezza economica. Dietro ai papà, ci sono anche le famiglie d’origine che soffrono. Vedono il proprio figlio o fratello, piegato sotto il peso di decisioni drastiche. Nipoti a cui viene fatto un vero e proprio «lavaggio del cervello» mettendoli contro il papà, i nonni e gli zii come se nessuno legato a lui fosse degno di rimanere al loro fianco. A questi uomini viene respinto ogni ricorso anche se la moglie lavorava e magicamente si licenzia per ottenere un mantenimento maggiore. Papà talmente svuotati dal punto di vista affettivo che cadono in un vortice senza ritorno e senza speranze. Che da super papà diventano orchi a seguito delle parole della mamma che ha un potere di convincimento pazzesco. Papà che diventano cattivi perché devono dire tanti «no» anche per un piccolo desiderio. Perché magari i venti euro per la maglietta non li hanno davvero e se hanno da mangiare è perché riescono ad avere un pacco alimentare dalle associazioni del territorio. La violenza di qualsiasi tipo non può essere tollerata. Mi sconvolge apprendere dell’ennesimo femminicidio, e mi rattrista profondamente apprendere di papà a cui si sono spenti gli occhi, che non possono essere presenti per i figli di cui magari si sono sempre occupati con esclusività. Che si vedono costretti a rinunciare anche alle cose più semplici da fare con loro. Che non possono godere della loro casa con i figli stessi, magari comprata prima del matrimonio grazie anche ai sacrifici di una vita dei genitori. Qui l’ordine delle «cose» è molto diverso rispetto a quello sopra indicato: i figli prima di tutto. Forse dovremmo riflettere un po’ tutti affinché le cose possano cambiare per diventare più eque.
Una sorella e ziaCarissima, prima di entrare nel merito, un riferimento alla coincidenza, evidenziata qui sopra dalla rubrica «Accadde Oggi»: la legge sul divorzio entrava in vigore esattamente cinquantacinque anni fa. Da allora parecchia acqua è passata sotto i ponti, identica è sovente la sofferenza per chi si separa, mentre ancora lontani siamo dall’equità che lei auspica. Perché la legge, ammettiamolo, da sola non basta. Affinché l’equità sia piena e dunque giusta, occorre che da ambo le parti vi sia un’attenzione, una premura, un «voler bene nonostante tutto», che fa amnistia degli errori propri e altrui, riportando in equilibrio l’ago della bilancia. Più facile a dirsi - vero anche questo - che a farsi. Però da qui non si scappa, sapendo che non dipende tutto da noi, che siamo sempre vincolati all’altro, ma altresì che ogni mano tesa, ogni rinuncia al puntiglio di averla vinta, ogni gesto di indulgenza, giova per primo a chi lo fa. E se non può convincere la ormai sua ex cognata, provi a convincersi lei stessa ed essere una sorella e zia che non getta sulle fiamme della separazione benzina, bensì acqua. (g. bar.)
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