«Padre Piffero» e il suo impegno per gli spastici
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Stava leggendo il breviario in una stanzetta anonima di un anonimo ospedale di Milano. Il tumore alla gola, che aveva preoccupato quei pochi che sapevano, non c’era più. L’angina pectoris di cui soffriva, non aveva dato problemi. Ancora qualche giorno e sarebbe tornato nella sua casetta di Brescia in Via Milano e avrebbe ripreso il suo instancabile, entusiasta lavoro. Padre Giacomo Giovanni Pifferetti, un sacerdote vecchio stampo. Schivo. Attaccato a valori, in cui altri avevano smesso di credere, entrato giovanissimo nella Congregazione dei Padri della Pace di Brescia, ne era uscito dopo decenni di apostolato tra i giovani. Senz’altro avrà avuto fretta di tornare a Brescia; dai «suoi ragazzi». Da almeno un decennio era Guida spirituale degli spastici adulti: l’ultimo capitolo della dinamica esistenza di Padre Piffero, come lo chiamavano i più. Non erano tempi facili per la disabilità. Alcune patologie invalidanti incominciavano... come dire?... ad uscire allo scoperto...; ad essere, almeno conosciute. La paralisi spastica, in tutte le sue forme, con tutte le sue modalità..., era come... di là da venire. Probabilmente degli adulti rimasti oggi, nessuno ricorda come Padre Giacomo sia approdato al Club. L’intesa silenziosa, ma duratura, nacque subito. Com’è stato il primo incontro? Chi per primo ha detto qualcosa? Com’è stato il primo impatto? Padre Piffero aveva avuto una vita «avventurosa». Era stato in guerra; prigioniero in India... … E i ragazzi? Nessuno di loro poteva dirsi adolescente; alcuni avevano superato i vent’anni da molto; alcuni non avevano avuto la fortuna di un po’ di scuola.... … erano quasi stipati in una stanza non troppo grande, che in genere fungeva da ufficio. Tanti «appollaiati» sulle carrozzelle; altri con un linguaggio incomprensibile. Parecchi di quelli che avevano aderito al Club non si erano mai visti; si guardavano con sospetto. Già allora Giuliano D’Ercole spiccava per la sua personalità e per il suo vocione «iper normale». Non tutti potevano essere così chiari e immediati. C’era chi aveva bisogno di tempo, di pazienza, per dire le cose. Sapevano benissimo quello che volevano dire; ma la mobilità non era agile come la mente. Padre Piffero prima impegnò se stesso, per capire tutti i «suoi ragazzi»; poi li convinse ad ascoltarsi l’un l’altro. Capire divenne sinonimo di attenzione. Gli adulti avevano trovato un uomo di Dio che forse come nessuno riusciva non solo ad afferrarne il linguaggio; ma a tirar il meglio di se stessi. Il padre era fermo, ma paziente. Sabato 14 marzo 2015 sarà il 35.mo anniversario della sua Nascita in Cielo. Molti «suoi ragazzi» l’hanno raggiunto....; forse più degni di altri...?... Alcuni sono ancora per strada; un po’ più stanchi e un po’ più soli... … Non si può!; guai! a chi discrimina sulla disabilità; ma se tutte le persone con deficit fisico, psichico, sensoriale, fisico/psichico «navigano» su una barca a remi, gli spastici, per alcuni aspetti, sono tuttora costretti a «galleggiare» su una zattera, che... fa acqua da tutte le pari: l’acqua della malinconia, della solitudine; del non essere presi, e capiti, per quello che si è davvero. M. Luisa Radaelli
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