Ospedali psichiatrici giudiziari
Ogni ospedale deve garantire dei livelli essenziali di assistenza (Lea) e quando ciò non avviene il ricorso alla magistratura è un'opzione praticata sovente. Quando però alla parola Ospedale si aggiunge la specializzazione di «psichiatrico giudiziario» (Opg) i livelli essenziali di assistenza del nostro Paese si affievoliscono in cinque dei sei Opg esistenti. E pur sotto gli occhi della Sanità e della Giustizia finiscono in un baratro di cui non si vede il fondo. Andando a fare comunella con i livelli essenziali di civiltà che da quel baratro non sono mai risaliti quando a beneficiarne avrebbero dovuto essere persone colpite da una grave sofferenza psichica e autrici di reato.
Non condannabili penalmente, ma vittime di un'odiosa cultura repressiva da decenni operante nei loro confronti.
Durante la legislatura appena conclusa e per tutta la sua durata al Senato ha operato una commissione di inchiesta «su alcuni aspetti della medicina territoriale, con particolare riguardo al funzionamento dei Servizi pubblici per le tossicodipendenze e dei Dipartimenti di salute mentale». Presidente Igrazio Marino - Relatori Bosone e Saccomanno. Ne riporto alcuni passaggi, precisando che non espongo singoli casi di mala sanità e di mala assistenza che possono capitare in qualunque ospedale, ma usi e costumi codificati negli anni e divenuti linee guida non scritte, ma subite da tutti. A partire dal direttore dell'Opg in su o dal direttore dell'Opg in giù. Sia a Barcellona Pozzo di Gotto che ad Aversa/Napoli. Sia a Montelupo fiorentino che a Reggio Emilia.
Mettendo ciascuno del suo:
a) «Per darvi un'idea dell'attenzione prestata alla salute, la farmacia è gestita da un'infermiera molto professionale, che riceve e dispensa anche stupefacenti con ricevute che, a fiducia, il farmacista firma tutte a fine anno (cioè una sola volta l'anno)»;
b) «il tutto è vissuto con uno strano senso di abitudine da parte della persona che ci accompagna e che si mostra fredda anche verso il personale infermieristico, al quale non è concessa neanche una stanza per cambiarsi, ma solo un sottoscala con armadietti metallici posti in cerchio»;
c) il Direttore spiega che il sabato e la domenica «ancora oggi io utilizzo i piantoni, cioè inserisco dei detenuti, degli internati lavoranti, che vengono retribuiti e che fanno gli infermieri per gli altri internati. Queste sono le condizioni in cui ci troviamo ad operare»;
d) «impressiona poi il racconto della carenza di operatori socio-sanitari: ve ne sono solo tre, e solo di mattina, ad assistere circa 320 pazienti detenuti». Sì, perchè nei cinque Opg maschili italiani sono prevalentemente gli agenti del corpo di Polizia penitanziaria a rappresentare la dignità e la legalità dello Stato, cioè la legge.
e) «ispezionando la struttura, abbiamo scoperto che i detenuti, legata per il collo una bottiglia d'acqua con una corda, la tengono sospesa all'interno dello scarico del water, nell'acqua che media il sifone, per mantenerla al fresco. Di tanto in tanto la prendono, bevono e poi la rimettono al fresco»... «La direttrice risponde che la presenza di un frigorifero darebbe fastidio al personale; i detenuti litigherebbero per poterci mettere ognuno la propria bottiglia»;
f) «è meglio non parlare dell'assistenza psichiatrica e di quella psicologica che sono totalmente assenti»;
g) in «una stanza nella quale siamo entrati, c'era un internato che defecava all'aperto davanti ad un altro... L'internato in questione non si comportava così perché pazzo ma perché il water era messo lì, dietro un muretto alto 1,20 metri, di fianco al capezzale del letto di un altro, non del suo».
La mia associazione, due anni fa interpellò uno dei due relatori della Commissione senatoriale nella persona del senatore Saccomanno che di Aversa e Barcellona Pozzo di Gotto aveva tra le altre cose scritto: «Non c'è alcuna idea di salute né tentativo di cura ma abbandono, deposito di umanità traviate senza prospettiva: un'incuria disumana. Questa è la mia sensazione».
Gli chiedemmo il suo parere sul sesto Opg italiano: quello di Castiglione delle Stiviere che dispone sia di reparti maschili che femminili. La risposta giunse quasi subito con una mail del 13 aprile 2011 contenete anche il seguente apprezzamento: «mi sento di rispondere che il caso di Castiglione delle Stiviere, più che un ospedale psichiatrico giudiziario, è un vero esempio sanitario».
Un albergo a cinque stelle con i gerani alle finestre e in giardino? Certamente no!
Tuttavia Castiglione delle Stiviere è risultato corrispondere agli standard di legge e offrire una sistemazione dignitosa agli internati e al personale. Che non annovera nel suo organico neppure un agente della polizia penitenziaria, bensì un centinaio più che abbondante di addetti; tra medici psichiatri e non, psicologi, infermieri, educatori, tecnici della riabilitazione e assistenti sociali. Appartenenti da sempre al Servizio Sanitario nazionale e retribuiti dall'Azienza Ospedaliera Carlo Poma di Mantova. Luogo senza sbarre alle finestre e porte in ferro chiuse, la notte, dall'esterno.
Penso che l'autore della lettera, pubblicata sul Giornale di Brescia sabato 13 aprile, riguardante i progetti lombardi in fase di elaborazione per l'imminente «dopo» ospedali psichiatrici giudiziari, abbia implicitamente inserito l'Opg di Castiglione delle Stiviere nel gruppo della vergogna per meglio puntellare l'impalcatura di un testo che contiene alcuni preliminari veti ideologici che lo rendono (o possono rendere) un po' meno condivisibile di quello che avrebbe potuto essere senza.
Sono personalmente convinto che l'ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione non se lo meriti e che sia quindi doveroso farlo presente.
Franco Vatrini
membro del direttivo Urasam-Lombardia
Unione Regionale Associazioni
Salute Mentale - Brescia
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
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