Onorevole sarà lei (ma soltanto se se lo merita)

Vorrei fare qualche considerazione sui termini usati relativi al lavoro che svolgiamo. Tutti abbiamo un appellativo legato all’attività del nostro lavoro. Chi lavora in ospedale è chiamato dottore o infermiere, chi lavora nella scuola è chiamato maestro o professore. E questo vale la politica. Chi opera a Montecitorio è chiamato deputato, e chi a Palazzo Madama è chiamato senatore. Però c’è un ulteriore termine che accomuna i nostri politici ed è «onorevole». Il titolo nasce storicamente per indicare il rispetto dovuto a chi ricopre una carica pubblica elettiva e svolge un ruolo importante nella rappresentanza dei cittadini. Non è un titolo giuridicamente obbligatorio e non è previsto dalla Costituzione. Si tratta quindi di una prassi consolidata, nata con i primi parlamenti dell’Ottocento, dove gli eletti, a quei tempi, ritenevano opportuno di fregiarsi di questo appellativo. L’abitudine è continuata fino ai giorni nostri, ma ora mi sembra anacronistica. Il termine «onorevole» va dato solo alle persone di elevata integrità e non inflazionato con chi occupa una qualsiasi carica politica. Attualmente sono molte le persone che non meritano questo appellativo: politici condannati per truffe, malversazioni, azioni contro la morale. Addirittura hanno dovuto lasciare l’Italia per non essere arrestati. Però, nonostante tutto, sono persone «onorevoli». Ritengo che i politici veramente onesti, e ce ne sono, si sentano offesi da questa comunanza di termini. All’inizio della Repubblica sono stati aboliti tutti i titoli nobiliari come conte, marchese, barone, duca ecc. Penso quindi sia opportuno abolire questo termine per i politici a chiamarli semplicemente deputati e senatori.
Filippo FinocchiaroBrescia
Caro Filippo, il buon senso è dalla sua: «onorevole» è appellativo che andrebbe concesso non a prescindere, bensì soltanto a chi lo merita. Proviamo tuttavia a ribaltare la faccenda, invitando lei - e soprattutto deputati e senatori - a considerare «onorevole» non un titolo di merito, bensì un «memento», un monito per come ci si dovrebbe sempre comportare, da declinare con verbo imperativo presente, seconda persona singolare: «Sii onorevole!». Detta così, lo ammetterà anche lei, pare tutta un’altra storia. (g. bar.)
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