Oltre il rogo non vive l’ira nemica
L’adunata degli Alpini a Trento è stata il solito fenomeno travolgente ed impensabile in un Paese tradizionalmente scettico come il nostro: anche il Presidente della Repubblica ne è parso commosso. Oltre alla trasmissione diretta di Teletutto, durata oltre 8 ore, questa 91ª edizione ha consentito a Massimo Cortesi un bel ricordo del tradizionale saluto degli alpini bresciani al monumento ai Caduti della città ove si svolge l’adunata nazionale. Quest’anno la particolarità era che i Caduti del monumento trentino, erano allora, nell’esercito nemico. Dev’essere successo qualcosa del genere anche nell’adunata degli anni scorsi a Bolzano, città che insieme a Trento era allora nell’impero austriaco e lo stesso discorso potrebbe farsi anche per Trieste. In verità, a proposito di Trento si deve ricordare il massiccio fenomeno dell’irredentismo, con parecchie migliaia di trentini che passarono il confine e combatterono nell’Esercito Italiano, a cominciare dal più famoso di essi, cioè Cesare Battisti. Si deve poi ricordare la normativa interna dell’esercito imperiale, ove convivevano almeno sette nazionalità diverse, che era quella di non lasciare le truppe di una certa nazionalità nel loro proprio settore, per impedire possibili defezioni. Così le truppe ungheresi (i famosi Honved) combatterono tutti sul fonte italiano, il Grappa, Asiago e l’Isonzo e non furono lasciati in Ungheria contro l’esercito russo, che rappresentava la maggiore minaccia del fronte orientale. Così i sudditi trentini vennero pure mandati sul fronte orientale, proprio per lo stesso motivo. Dopo la rivoluzione di ottobre, con il conseguente disfacimento dell’Esercito zarista i prigionieri austriaci di nazionalità italiana (cioè i trentini) una volta liberi costituirono un battaglione alpino detto «Gli Alpini neri» dal colore delle mostrine che fecero parte di quella incredibile vicenda del capitano Sora che condusse in salvo tutte le forze italiane lungo la Transiberiana fino a Vladivostock, rientrando in Patria tre anni dopo con un avventuroso viaggio per mare. Queste precisazioni storiche non fanno in alcun modo venir meno il valore del gesto che gli Alpini bresciani tradizionalmente svolgono in ogni adunata nazionale con il saluto al monumento ai Caduti. Come detto giustamente da Cortesi, questo sentimento di fratellanza in armi con l’ex nemico ha origini antiche, specie tra gli Alpini. Mi piace qui ricordare un grande Alpino bresciano il Gen. c.a. Giuseppe Lorenzotti che mi raccontò una volta l’episodio commovente dell’incontro sull’Ortigara con un maggiore austriaco che da giovane vi aveva combattuto, in occasione di un raduno degli anni Sessanta intorno alla celebre colonna mozza con ala semplice scritta «per non dimenticare». Su quel monte tragico dell’Altopiano di Asiago il gen. Lorenzotti, allora giovane Aspirante si era meritato una medaglia d’argento restando impavido a manovrare la mitragliatrice della sua Sezione, unico sopravvissuto nella trincea. Quell’incontro e quell’abbraccio con l’ex nemico, sui restio di quelle trincee non più insanguinate, costituirono per lui uno dei momenti più intensi della sua vita militare. Si sa che i bresciani non sono propensi a grandi slanci retorici ed infatti il gen. Lorenzotti concludeva il suo racconto dicendo che quando era tornato a Dello in licenza era stato accolto dalla vecchia nonna con queste parole: «Giösta, che fet che? I dis che i m’ör töte!!!!». E così il giovane eroe dovette quasi giustificarsi con la nonna per non essere morto.
// avv. Marcello BerlucchiBrescia
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